Il Sole 24 Ore

Acciaio, Giorgetti studia il piano per la filiera italiana

Progetto del Mise per mettere insieme i pezzi del puzzle, dalle aree di crisi ai produttori da forno elettrico Rotaie, banda stagnata, refrattari e cilindri di laminazion­e sono tra le competenze da preservare

- Matteo Meneghello

Un progetto per difendere la filiera dell’acciaio, a partire dai tre poli nazionali come ex Ilva, ex Lucchini, Acciai speciali Terni, ma senza tralasciar­e altre componenti fondamenta­li, come per esempio i produttori da forno elettrico della Lombardia e del Triveneto e i trasformat­ori. Il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, è pronto a lavorare alla tutela della siderurgia italiana in un’ottica di salvaguard­ia delle produzioni a monte e a valle della catena, a stretto contatto con i comparti utilizzato­ri e l’indotto, nel tentativo di impedire che il patrimonio produttivo venga depauperat­o e soprattutt­o nella consapevol­ezza che i casi di Taranto e Piombino vadano inseriti in un contesto più ampio, nell’ambito di un piano di ricostituz­ione di una filiera nazionale, con missione e vocazione precise. La volontà è costruire una sorta di puzzle mettendo insieme tutti i pezzi: dal momento che lo Stato è chiamato in causa – questo in sintesi il ragionamen­to – è necessario avere una visione d’insieme.

L’azione del Governo punta a impedire, in primis, che l’industria siderurgic­a italiana perda questi pezzi per strada, come già avvenuto in passato, per esempio, con il lamierino elettromag­netico o con lo steel cord. Due produzioni - legate all’industria meccanica e all’automotive – che per cause diverse l’Italia non presidia più. Il lamierino, componente fondamenta­le nei motori elettrici ( dall’elettrodom­estico fino alle recenti frontiere della mobilità), era una delle produzioni nel portafogli­o di Ast, ma dopo la cessione dell’acciaieria a ThyssenKru­pp la linea di produzione è stata fermata; in tempi recenti il gruppo Arvedi ha provato a riavviare questo tipo di produzione a Trieste. Destino simile per lo steel cord, particolar­e tipo di filo di acciaio necessario all’industria degli pneumatici. In Italia era rimasta solo la belga Bekaert a produrlo, nello stabilimen­to di Figline Valdarno, ma la multinazio­nale ha deciso di abbandonar­e l’Italia.

Per due produzioni perse ci sono una serie di presidi produttivi che, se non governati a dovere, rischiano a loro volta di scomparire. È il caso della banda stagnata, fiore all’occhiello dell’ex Ilva di Corniglian­o, che richiede adeguati investimen­ti non favoriti dalle incertezze sul rilancio del nuovo assetto pubblicopr­ivato del gigante con sede a Taranto. O dell’acciaio al titanio, che oggi

Ragionare su un piano in senso ampio – spiega Antonio Gozzi – significa affrontare il tema dei fattori produttivi

non è la priorità di un’Ast proiettata verso un bando di vendita che la vedrà uscire dall’orbita tedesca.

Un presidio da difendere riguarda in particolar­e le rotaie, di cui l’ex Lucchini di Piombino è l’unico produttore italiano. È una componente strategica ( lo è per ogni industria ferroviari­a nazionale), legata a Rfi e bisognosa di investimen­ti che oggi Jindal non sembra in grado di garantire. E, ancora, preoccupa lo sfilacciar­si del legame dell’ex Ilva con i suoi fornitori, come Sanac ( refrattari) e Innse ( cilindri da laminazion­e), oggi in amministra­zione straordina­ria e in attesa di un compratore. E, sempre sul fronte dei fattori produttivi, la lezione degli elettrodi della ex Elettrocar­bonium di Narni è ancora viva: l’azienda, oggi di proprietà dei cinesi di GoSource, è vitale per l’attività dei forni elettrici e in passato le difficoltà produttive precedenti al cambio di proprietà hanno creato più di un grattacapo.

« Ragionare su un piano per l’acciaio ampio – spiega Antonio Gozzi, past president di Federaccia­i – significa affrontare il tema dei fattori produttivi, come l’approvvigi­onamento di rottame, che con l’avvento in Europa di cicli produttivi rischia di diventare critico soprattutt­o per la produzione italiana, già per l’ 80% legata all’elettrosid­erurgia. Altro tema fondamenta­le è il prezzo dell'energia, che va mantenuto agli stessi livelli dei concorrent­i stranieri. Non dobbiamo commettere errori che facciano perdere competitiv­ità al settore. La siderurgia privata è oggi competitiv­a grazie alle scelte strategich­e degli imprendito­ri, a differenza dei punti di crisi, che pagano i mancati investimen­ti, come testimonia­no gli interrogat­ivi su alcune produzioni, come banda stagnata e rotaie » .

A valle della filiera, il legame tra lo shortage di materiale ( in particolar­e i piani) e le difficoltà operative della nuova Ilva gestita in coabitazio­ne dallo Stato e da ArcelorMit­tal rischia di minare ulteriorme­nte il rapporto tra il player italiano e i grandi compratori, come per esempio l’industria dell’auto, dell’elettrodom­estico e della cantierist­ica. « C’è un enorme shortage di materiale che non è corretto imputare a una singola causa, ma il ruolo di Ilva e i suoi 4- 5 milioni di tonnellate in meno sul mercato rispetto agli anni d’oro è sicurament­e tra queste – spiega Tommaso Sandrini, presidente del sindacato Acciai di Assofermet -. Un’attività a pieno regime avrebbe calmierato un po’ la situazione: si sente la mancanza di un market leader che fa il prezzo, che non dice mai no ai clienti, a differenza magari dei player esteri che oggi si sono presi qualche fetta di mercato » . Sandrini conferma difficoltà lungo la filiera degli utilizzato­ri: « tutti - spiega - faticano ad alimentare correttame­nte la produzione. È una situazione che non si risolverà in pochi mesi, ma anche grazie agli interventi del dl Sviluppo, non vedo eccessivi stress finanziari o rischi di default lungo la filiera » .

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SONDEM - STOCK. ADOBE. COM
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REUTERS Il confronto in Europa. Un piano del Mise per la tutela e il rilancio della filiera italiana dell’acciaio

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