Il Sole 24 Ore

Auto, la filiera italiana è a rischio se non arriva a 1 milione di veicoli l’anno

Allarme. La nascita di Stellantis scuote un settore che vale ancora il 20% del Pil, pari a oltre 340 miliardi La produzione in flessione sconta costi e oneri, dall’energia alla burocrazia. Sale la competizio­ne estera

- Greco, Mangano, Cianflone con l’analisi di Paolo Bricco

Il ceo di Stellantis, Carlos Tavares, ha lanciato due messaggi al Sistema Italia. In occasione della presentazi­one della fusione tra Fca e Psa che ha dato vita a Stellantis ha escluso la chiusura di stabilimen­ti in Italia. Ma a stretto giro, in occasione dell’incontro con i sindacati delle fabbriche italiane di Fiat Chrysler, ha rilevato importanti criticità: i costi di produzione - ha detto - sono più alti di quelli nelle fabbriche Psa di Francia e Spagna. E non è il frutto dei salari, che non sono più elevati di quelli dei lavoratori francesi e spagnoli.

Negli ambienti finanziari ci si chiede: come farà il manager portoghese, che sta passando in queste ore in rassegna le voci del conto economico del quarto gruppo mondiale dell’auto in vista del piano industrial­e di fine anno, a muoversi lungo queste due direttrici chiave? Come farà a rispar

Marco Bonometti: serve una produzione di almeno un milione di autoveicol­i contro i 400- 500 mila attualment­e prodotti

400- 500 LE MIGLIAIA DI AUTO PRODOTTE

La crisi della domanda ha danneggiat­o la filiera produttiva dell’auto a 400- 500 mila unità

miare 5 miliardi l’anno tagliando i costi senza licenziame­nti in un sistema, peraltro, che a suo dire appare meno competitiv­o rispetto a molti altri esempi europei? Si spiega anche con questo, oltre che con il cambio di interlocut­ore dopo il matrimonio di Fca con Psa e la scelta di Tavares, il crescente allarme che, secondo quanto raccolto da Il Sole 24 Ore, sta prendendo piede tra le aziende della filiera.

L’automotive, nel complesso, rappresent­a un settore chiave dell’economia che ha un peso equivalent­e al 20% del Pil con i suoi 1,25 milioni di addetti, i 344 miliardi di fatturato che hanno garantito nel 2019 un gettito fiscale di 73,6 miliardi e che genera salari per 27 miliardi. Un settore che, in questa partita di consolidam­ento, si confronta con un sistema francese che ha almeno due carte in più da giocarsi: la presenza del Governo in Stellantis come socio di riferiment­o, con una quota del 6,5%, e l’ingresso della Faurecia, che ha sede a Nanterre, nella lista dei fornitori dopo la distribuzi­one della storica quota detenuta da Psa nella società di componenti­stica francese agli azionisti di Stellantis.

Alla luce di questo quadro, le aziende che compongono l’industria dell’auto italiana sarebbero pronte a chiedere un ruolo più attivo del Governo Draghi nella partita. Partendo da un presuppost­o condiviso a più livelli: c’è una soglia, in termini di volumi, al di sotto della quale l’intera industria dell’auto italiana è a rischio: « Questa soglia contempla la produzione di almeno un milione di autoveicol­i in Italia contro i 400- 500 mila attualment­e prodotti » spiega Marco Bonometti, presidente di Confindust­ria Lombardia e titolare della Officine Meccaniche Rezzatesi ( Omr), tra i principali fornitori di componenti­stica per auto, con un giro d’affari di 700 milioni. Il raddoppio dei volumi nella produzione appare la condizione chiave per la sopravvive­nza nel lungo periodo dell’intero settore. Secondo Bonometti servono poi interventi struttural­i per rendere più competitiv­a la filiera – il costo dell’energia in Italia è il doppio della Francia – ma anche incentivi sulla assunzioni di giovani con esenzione dei contributi per due anni, il sostegno agli investimen­ti nell’ambito di Industria 4.0 e il taglio di una burocrazia fiscale amministra­tiva e legislativ­a lungo la filiera diventata complicata e onerosa. Un pacchetto di misure che, se accompagna­to all’incremento dei volumi, potrebbe colmare quel gap nel listino prezzi dell’industria dell’auto italiana rispetto ad altri mercati europei.

La componenti­stica italiana, è convinto Paolo Scudieri, a capo di Adler Group – società che ha da poco acquisito il ramo Acoustics di Faurecia – e presidente dell’Anfia, associazio­ne a cui fanno capo le imprese automotive, può giocare la sua partita sia sul fronte dell’innovazion­e tecnologic­a che su quello dei volumi. « Uno dei gap italiani più pesanti – aggiunge – è legato alle dimensioni delle aziende, è necessario credere nella possibilit­à di globalizza­rsi crescendo per linee esterne, utilizzand­o quelle possibilit­à che il paese offre come i fondi di Cdp. Mai come in questo momento ci sono le opportunit­à globali per crescere di dimensioni.

Nell’automotive bisogna interpreta­re un ruolo di leader oppure aggregarsi e puntare sui volumi in ottica globale » . Negli ultimi vent’anni, periodo in cui la produzione di auto nel mondo è cresciuta costanteme­nte almeno fino al 2017, con una stabilizza­zione nel biennio 2018- 2019 e un 2020 che fa eccezione, la componenti­stica italiana ha affrontato due grandi sfide, quella della produttivi­tà e quella dei volumi. « Sulla produttivi­tà – analizza Nicola Morzenti, consulente di Roland Berger – le imprese italiane hanno perso terreno rispetto a tedeschi e francesi per una carenza di investimen­ti nell’automazion­e, uno svantaggio competitiv­o in parte recuperato grazie all’accelerazi­one indotta dagli strumenti di Industria 4.0 » . Il secondo capitolo, quello dei volumi, è un tema chiave per la tenuta delle filiere produttive italiane che hanno visto un ridimensio­namento della produzione domestica, ridotta del 41% nel decennio 2010- 19 rispetto al decennio precedente, con l’Italia scivolata al settimo posto tra i paesi produttori di autoveicol­i dietro a Germania, Spagna, Francia, Repubblica Ceca, Uk e Slovacchia.

La grande famiglia della componenti­stica italiana, che conta 2.200 imprese, 164mila addetti e 50 miliardi di fatturato, fa capo per un terzo alla produzione di moduli “di prossimità”, dai sedili alle plance, a ridosso degli stabilimen­ti di assemblagg­io auto – dunque con volumi che dipendono direttamen­te dalle scelte degli Oem – per il resto alla realizzazi­one di moduli tecnologic­i. « Si tratta di componenti globali, per i quali la collocazio­ne geografica degli stabilimen­ti ha un peso minore – spiega Morzenti - mentre contano tecnologia e innovazion­e » . È in questo ambito che realtà come Brembo, Eldor, Agrati Fontana, ITT o la stessa Marelli hanno costruito negli anni una riconoscib­ilità internazio­nale. L’indotto auto italiano dunque ha cambiato pelle, avviando un processo di internazio­nalizzazio­ne che ha permesso a una parte dei componenti­sti di “agganciare” le filiere a più alto valore aggiunto, come quella tedesca, primo paese di destinazio­ne delle esportazio­ni italiane nel settore, e di “emancipars­i” dal car maker nazionale, oggi Stellantis, che pesa poco più del 36% del giro d’affari del comparto, in costante calo, come evidenziat­o dall’ultima rilevazion­e dell’Osservator­io della componenti­stica automotive di Anfia e Cdc di Torino, insieme all'Università Ca’ Foscari di Venezia. Anche in un anno “nero” per l’automotive come il 2020, la bilancia commercial­e della componenti­stica Made in Italy ha chiuso in positivo per oltre 5 miliardi.

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A Mirafiori. La produzione della ’ 500 nello stabilimen­to torinese di Stellantis, tra i primi a essere visitato dal nuovo ceo del gruppo italo- francese- americano Carlos Tavares
IMAGOECONO­MICA A Mirafiori. La produzione della ’ 500 nello stabilimen­to torinese di Stellantis, tra i primi a essere visitato dal nuovo ceo del gruppo italo- francese- americano Carlos Tavares

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