La Bers punta sull’Africa subsahariana
La Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, nata due anni dopo la caduta del Muro, continua ad ampliare le attività. E ora la transizione di cui si occupa è anche climatica
Dall’arco di acciaio che racchiude il sarcofago in cui è imprigionato il reattore nucleare di Chernobyl, in Ucraina, al più grande impianto fotovoltaico d’Africa a Benban, in Egitto. Due importanti progetti promossi dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo ( Bers) aiutano a capire quanto sia cambiata, sotto il profilo geopolitico, questa istituzione finanziaria internazionale creata non molto dopo la caduta del Muro di Berlino.
Sono esattamente trent’anni che la Bers promuove la transizione verso l’economia di mercato, lo sviluppo dell’impresa privata e delle istituzioni democratiche nei Paesi emersi da decenni di comunismo e guerra fredda. Ma la transizione, principio fondatore che anima le sue attività, è un percorso accidentato e non sempre a senso unico. Scuote e ha scosso altre parti del mondo, come il Nord Africa e il Medio Oriente con le primavere arabe; va avanti troppo lentamente, si blocca o addirittura torna sui suoi passi se pensiamo a quanto è accaduto in Russia con l’annessione della Crimea e la guerra nel Donbass o alla svolta autoritaria in Turchia e alla repressione in Bielorussia.
La presidente Odile RenaudBasso, francese, ex direttore generale del Tesoro, non nasconde in un colloquio con Il Sole 24 Ore le difficoltà che la banca ha avuto e ha ad operare in alcuni Paesi: « Se un Paese compie passi indietro in termi di progressi verso la democrazia, siamo in grado di ridurre o fermare i nostri interventi. Nel caso della Russia, la maggioranza dei nostri azionisti nel 2014 ha ritenuto che date le circostanze non sarebbe stato più possibile impegnarsi in nuovi progetti. In questo Paese oggi ci limitiamo a gestire il portafoglio di attività ancora in essere, ma non siamo coinvolti in nuovi progetti, né nel settore pubblico né in quello privato » . Fino al 2014 la Russia era il Paese di gran lunga più importante per la Bers come volume di attività e progetti finanziati.
Così in Bielorussia è stato ridotto fortementeilcampod’azione, manondel tutto congelato: « In seguito agli eventi dell’estate - continua la presidente della Bers - abbiamo sospeso le attività che prevedono il coinvolgimento di istituzioni pubbliche. Riteniamo però utile per il Paese, se davvero vogliamo aiutare lo sviluppo della democrazia e creare creare possibilità alternative alle imprese possibilità alternative alle imprese distato, impegnarci in alcuni progetti del settore privato » .
Dei sette presidenti che si sono finora avvicendati alla guida della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, Renaud- Basso è il quarto di nazionalità francese. Prima di lei ci sono stati Jacques Attali, Jacques de Larosière e Jean Lemierre. Perché? Un po’ perché la Francia è stata sempre molto brava a occupare le poltrone di rilievo delle più importanti istituzioni finanziarie internazionali, un po’ perché la Bers, nonostante la sede sia a Londra, è per molti versi proprio una creatura francese.
Fu infatti Jacques Attali nell'estate 1989, allora consigliere di François Mitterrand, a elaborare l'idea di una Banca europea che aiutasse finanziariamente i Paesi in uscita dal comunismo in seguito allo
Tra le nostre sfide più recenti c’è la transizione verde, un’urgenza molto sentita nei Paesi dove operiamo
smantellamento della cortina di ferro e poche settimane prima della caduta del Muro di Berlino.
Il presidente francese se ne fece promotore presso gli altri leader europei mettendo sotto pressione la Germania e facendo leva sul desiderio di riunificazione del cancelliere Helmut Kohl. E al Consiglio Ue del dicembre ’ 89 l’idea della banca venne finalmente sdoganata.
Da allora a oggi la Bers, ormai operativa in una quarantina di Paesi, ha investito 150 miliardi in oltre 6mila progetti allargando geograficamente, ma non solo, il proprio campo d’azione. Tra il 2009 e il 2012 alla dimensione dell’Europa postcomunista si aggiunge quella del Medio Oriente e del Nord Africa, con l’avvio delle attività in Turchia, Egitto, Giordania, Marocco, Tunisia e, successivamente, in Libano, Gaza e Cisgiordania.
« Tra le nostre sfide più recenti - dice la presidente della Bers - c’è sicuramente quella della transizione verde, un’esigenza sempre più acuta e sentita nei Paesi in cui lavoriamo ( l’impianto fotovoltaico in Egitto è solo un esempio, ndr). Non è però l’unica. Ci stiamo concentrando molto nei Paesi in fase di transizione meno avanzata e c’è una discussione tra i nostri azionisti per valutare se sia opportuno per la Banca lavorare in alcuni Paesi dell’Africa Sub- Sahariana perseguendo lo stesso mandato che abbiamo nei confronti del settore privato e dell’agenda verde » .
Il Libano è un Paese dove la Bers è approdata più di recente ( 2017) e dopo un iniziale e forte coinvolgimento nella ristrutturazione del sistema bancario, le attività si sono ridotte di molto: « Per poter lavorare, noi e le altre istituzioni finanziarie internazionali abbiamo bisogno che ci siano un governo stabile e un programma di riforme sostenuto dall’Fmi » .
In caso di sviluppi positivi non è escluso un maggior coinvolgimento della banca nel processo di modernizzazione del Libano, come ad esempio la ricostruzione del porto di Beirut: « Un grande progetto infrastrutturale - conclude RenaudBasso - dove potremmo dare un importante contributo » .