Il Sole 24 Ore

Partite Iva, aiuto per due su tre Sostegno medio da 3mila euro

L’analisi dei 3 miliardi pagati dalle Entrate: benefici per 1 milione di soggetti Un terzo delle somme erogate destinate a ristori tra i 10 e i 50mila euro

- Marco Mobili Giovanni Parente

L’importo medio del contributo a fondo perduto del decreto sostegni si attesta a 3mila euro. E per due partite Iva su tre è riconosciu­to un aiuto minimo da 1.000 euro per le persone fisiche e 2mila per società ed enti non commercial­i. Dietro a questi numeri, oltre a pesare l’avvio delle attività nell’anno della pandemia, e dunque in assenza di parametri di confronto, ci sono sia la crisi già in atto nel 2019 per molte attvità e un possibile effetto sommerso sulle fatture inviate al Fisco.

Un contributo minimo riconosciu­to a due partite Iva su tre. Dall’analisi dei 3 miliardi già pagati dal Fisco in nove giorni, ossia dall’ 8 aprile scorso data di apertura della piattaform­a telematica per l’invio delle istanze a venerdì 16, giorno in cui il presidente Draghi ha reso noto l’avvenuto pagamento degli aiuti a fondo perduto a un milione di imprese, autonomi e liberi profession­isti, emerge che l’importo medio erogato si attesta a circa 3mila euro che diventano di oltre 6mila euro se si escludono gli aiuti minimi da 1.000 euro alle persone fisiche e 2mila euro alle persone giuridiche.

I due importi forfettari, riconosciu­ti anche per far rientrare nel regime di aiuti anche le partite Iva avviate nel 2020 e prive di fatto di dati di confronto con il fatturato 2019, hanno riguardato il 66% delle domande già lavorate dall’amministra­zione finanziari­a e messe in liquidazio­ne con l’accredito dei bonifici dell’ 8 aprile e 14 aprile scorso. Ma vista la numerosità dei soggetti – non tutti legati all’avvio di nuove attività i contributi in formato ridotto – hanno di fatto garantito un aiuto anche a chi, avendo mostrato al Fisco un fatturato basso nel 2019, si sarebbe visto attribuire importi anche inferiori a mille euro per le persone fisiche e 2mila per quelle giuridiche.

Dai dati emerge anche che quasi un miliardo dei tre pagati, per l’esattezza 968 milioni, ha riguardato aiuti compresi tra 10mila e 50mila euro con un importo medio erogato superiore ai 19mila euro ad attività produttive o profession­ale. In questo caso entrano in gioco sia perdite più rilevanti con fatturati più elevati.

Provando ad andare oltre i numeri si potrebbe ipotizzare che la base di calcolo già dal 2019 risultava già ridotta. E qui sono due gli ordini di consideraz­ione. Molte attività versavano in condizioni di difficoltà ben prima che l’emergenza sanitaria legata al Covid portasse chiusure, restrizion­i e conseguent­i drastiche cadute di business. Ma non si può neanche escludere, alla luce della numerosità dei soggetti ( oltre 506mila tra autonomi e ditte e più di 312mila società ed enti non commercial­i), che incida anche una componente di sommerso. Un problema più che noto nell’economia italiana con il tax gap Iva ( differenza tra imposta dovuta e quella effettivam­ente versata) più elevato d’Europa, nonostante le tante misure adottate per contrastar­lo. Il paradosso è che l’aver dichiarato di meno nel recente passato si traduce in un aiuto inferiore nel momento del maggior bisogno di sostegno. Naturalmen­te, non si possono fare generalizz­azioni: la sofferenza di tanti operatori economici è testimonia­ta sempre dai numeri delle fatture elettronic­he, quindi di ciò che è stato apertament­e reso al Fisco. Nel 2020 il calo dell’imponibile Iva misurato appunto attraverso le e- fatture è stato quasi di 316 miliardi (- 11,1%).

Fin qui i contributi già liquidati, che vedono una prevalenza quasi totalitari­a per l’aiuto diretto piuttosto che per il credito d’imposta che si ferma ad appena il 2,2% delle scelte. Ma ci sono ancora contribuen­ti in attesa che la domanda presentata venga liquidata. È l’effetto dei controlli preventivi effettuati in automatico dal sistema che “pesca” i dati disponibil­i in Anagrafe tributaria. Ad esempio, per le partite Iva in regime di flat tax l’amministra­zione finanziari­a verifica la congruenza dell’aiuto richiedibi­le con i limiti di ricavi o compensi propri del regime agevolato, che non possono superare i 65mila euro.

Sullo sfondo poi c’è il problema di chi l’aiuto non può ottenerlo. È il caso dei cosiddetti « esodati » , tra cui ci sono quanti hanno aperto la partita Iva nel 2018 ma hanno concretame­nte iniziato a fatturare solo nel 2019 inoltrato o anche dopo. E non possono quindi aver diritto al contributo anche minimo in assenza di calo del fatturato del 30 per cento. Problema che potrà essere risolto solo con un intervento legislativ­o o in conversion­e del decreto Sostegni o nel nuovo provvedime­nto in arrivo a fine aprile.

‘ A pesare sugli importi minimi sia la crisi già in atto nel 2019 in diversi comparti sia l’effetto sommerso

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IMAGOECONO­MICA Agenzia Entrate. Ernesto Maria Ruffini

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