DOPO I SUSSIDI ORA È IL TEMPO DELLA CRESCITA
Iristori con il governo Conte bis e i sostegni con il governo attuale sono il prezzo pagato all’emergenza della pandemia. Certo, soprattutto in passato, potevano essere fatte scelte migliori. Per esempio, evitando i finanziamenti a pioggia e intervenendo con efficacia maggiore a sostegno di chi ha pagato, e sta pagando, il prezzo più alto alla crisi e alle chiusure, dalle categorie coinvolte nel turismo ai trasporti, fino agli operatori della cultura e a gran parte delle partite Iva. Ma la situazione era di assoluta emergenza e, comunque, così è andata. Adesso però è arrivato il momento di voltare pagina. E va fatto con determinazione assoluta.
La situazione, infatti, è da allarme rosso. Pochi numeri lo dimostrano. Il deficit 2021è arrivato all’ 11,8 per cento del prodotto interno lordo, quando prima della pandemia il 3 per cento era considerato insostenibile. Oggi ha raggiunto il picco storico del primo dopoguerra, nel 1920. E il debito pubblico sta sfiorando il 160 per cento del Prodotto interno lordo, che significa il record di 2.643 miliardi di euro. In più vanno considerati altri provvedimenti di soccorso all’economia, perché l’emergenza sanitaria non è finita, e il debito aggiuntivo per gli interventi già decisi calcolato al 2026 in quasi 500 miliardi. Senza contare l’incognita dei crediti bancari in moratoria: oltre 170 miliardi, che rappresentano una vera incognita. Se metà dovessero risultare inesigibili, significa 85 miliardi di crediti deteriorati, non pochi considerando che oggi la somma dei crediti deteriorati dell'intero sistema bancario italiano è stimata intorno a 105 miliardi.
È una situazione che fa tremare i polsi e che rappresenta una delle ragioni fondamentali della caduta del governo Conte, del tutto inadeguato a fronteggiare una situazione di tale difficoltà. Ci sta provando il nuovo presidente del consiglio, che certo ha la competenza per riuscirci. Ma è necessario che tutti acquisiscano piena consapevolezza che il Paese di Bengodi, dove magari i debiti non si restituiscono, non esiste. Né si può pensare che, nel regno dell’evasione fiscale, purtroppo tuttora devastante, il conto venga presentato sempre ai soliti, cioè a quel numero ristretto di italiani che pagano le tasse fino all’ultimo centesimo. Tasse che, naturalmente per chi le paga, sono troppo elevate, direi iugulatorie.
L’unica via per uscirne è premere l’acceleratore dello sviluppo economico, investendo ogni risorsa disponibile. L’obiettivo è aumentare la massa d’urto dei fondi che, speriamo, saranno disponibili se presenteremo all’Europa un piano di Recovery fund convincente. Le condizioni per farcela ci sono. La settimana scorsa è uscito un primo bilancio di settore dei produttori delle macchine utensili nel primo trimestre dell’anno: + 48,6 per cento di ordini rispetto allo stesso periodo del 2020. L’intera industria manifatturiera italiana, e l’intero Paese, si presenta come una molla compressa dalla lunga pandemia, pronta a distendersi con effetti positivi e a cascata.
È però necessario che venga messo al centro di ogni provvedimento d’incentivo il fare impresa, la creazione di valore. Occorre una visione d’insieme, la capacità di sbloccare l’andamento dei settori portanti dell’economia e il coraggio di riforme che non sono più rinviabili. Alcuni segnali positivi vanno registrati: avere capito la necessità di puntare su una industria italiana dei vaccini, il piano in definizione per rilanciare l’industria dell’acciaio, la consapevolezza che l’industria automobilistica rappresenta una colonna portante del Paese e va salvaguardata. È arrivato il momento di gettare il cuore oltre gli ostacoli e di rompere ogni indugio, anche lanciando l’attacco a fortezze che si potrebbe pensare inespugnabili come la burocrazia opprimente, l’inefficienza della pubblica amministrazione, la giustizia troppo lenta.
Consiglio ai naviganti del governo di casa nostra: cambiare passo anche nei rapporti con le organizzazioni sociali che significa, in premessa, raccoglierne le istanze evitando di metterle di fronte al fatto compiuto.
Consiglio ai naviganti della vecchia Europa: reggere il confronto con Cina e Stati Uniti è possibile solo puntando risorse adeguate sullo sviluppo. In caso contrario l’Unione europea continuerà ad arrancare.