Coinbase, la sfida è diversificare i ricavi
Più servizi e clienti possono dare maggiore stabilità al giro d’affari della società
Volatilità dei ricavi. È una caratteristica, similmente ad altre piattaforme di scambi centralizzati di cripto asset, del business model di Coinbase. Certo: il mondo delle criptovalute è in espansione. Quindi c’è spazio per aumentare i propri utenti e, di conseguenza, spingere il giro d’affari. Non solo. Da un lato la neoquotata al Nasdaq, nel 2020, ha raggiunto 1,27 miliardi di dollari di ricavi ( erano 533,7 milioni nell’esercizio precedente); dall’altro, solamente nel primo trimestre del 2021, ha realizzato l’importante cifra di circa 1,8 miliardi di “revenues”. I numeri, insomma, descrivono una dinamica della top line di conto economico in forte rialzo.
Il prospetto di quotazione
Ciò detto, però, è la stessa Coinbase a sottolineare l’alea sul fronte dei ricavi e, di conseguenza, della redditività. Nel prospetto informativo per l’Ipo l’azienda statunitense dice che « ( ...) i ricavi dipendono dai cripto asset e dalla più ampia “cryptoeconomy”. A causa dell’alta volatilità » di entrambi « i nostro risultati operativi hanno, e continueranno a, fluttuare significativamente di trimestre in trimestre » .
Già, a fluttuare significativamente. Ma perché questo accade? Per rispondere è necessario sottolineare un aspetto: la maggior parte degli introiti aziendali finora è costituita dalle “transaction revenue” ( 96% del totale nel 2020). In particolare si parla delle cosiddette “transaction fee” che vengono incassate « in base al prezzo e alla quantità di cripto asset che è comprato, venduto o ritirato » . Un introito « direttamente legato ai volumi di trading - scrive sempre Coinbase - (...) che sono storicamente influenzati » dall’andamento del Bitcoin e delle altre cripto currency.
Modello “monotono”
Si dirà: qual è il problema? Tutte le Borse tradizionali, o i broker, hanno sistemi commissionali più o meno simili. Vero! E però non può sfuggire un duplice aspetto. Il primo è che, piaccia o non piaccia, i cripto asset sono, per l’appunto, ancora molto erratici. Proprio nello scorso week end il Bitcoin è arrivato a perdere oltre 12%. Una condizione che influenza i volumi e le “transaction fee”. Il secondo, invece, attiene al fatto che la maggiore parte dell’operatività degli utenti è focalizzata su due monete cripto: il Bitcoin ed Ethereum. Queste, nello scorso anno, hanno valso il 56% di tutti i volumi da trading della piattaforma di Coinbase. Una simile concentrazione, è evidente, crea un forte legame tra due soli asset e il giro d’affari della società. Certo, può obiettarsi: Coinbase, analogamente ad altre piattaforme di scambi centralizzati, offre l’opportunità di compravendita su altri cripto asset ( sono più di 90). E tuttavia, al di là che la correlazione tra di loro è alta, resta il fatto che si tratta della stessa tipologia di “titoli”. Vale a dire: non è, come in una Borsa tradizionale che, se un’azione ( o un settore) è in calo, l’operatività viene ( al di là dei ribassisti) trasferita in altri comparti o titoli. Qui il segmento quello è, e quello rimane ( almeno finora).
A fronte di ciò ben si capisce perché Coinbase punti, da una parte, ad aumentare la platea degli utenti; e dall’altra anche a diversificare i ricavi. Il gruppo sottolinea che quando un cliente è “coinvolto” con almeno un prodotto “non d’investimento” la media delle “revenues” a lui riferita aumenta intorno al 90%. In tal senso Coinbase guarda, tra le altre cose, ai servizi per l’utente. Un esempio? La conversione tra diverse cripto currency; oppure la vendita di analytics. Si tratta di sforzi che, peraltro, consentono anche di attirare nuova clientela. Un obiettivo il quale, evidentemente, vuol’essere raggiunto ad esempio con la possibilità, data a chi ha un Coinbase Wallet, di prestare i suoi cripto asset ad un’App di finanza decentralizzata.