Il Sole 24 Ore

Ricorsi troppo lunghi, rinvio per dare modo agli avvocati di riscriverl­i

Scelta la soluzione meno punitiva, nel rispetto della leale collaboraz­ione

- Guglielmo Saporito

Un ricorso prolisso rischia di danneggiar­e la parte, se viola le dimensioni previste dalla prassi giudiziari­a. Sul tema ora interviene il Consiglio di Stato, con ordinanza 13 aprile 2021 n. 3006 ( Presidente Sergio De Felice, Estensore Dario Simeoli) invitando le parti a riscrivere gli atti troppo lunghi.

Il problema si è posto fin dal 2016, quando la giustizia amministra­tiva ha individuat­o il numero massimo della facciate dei singoli atti giudiziari ( ricorsi e memorie). Come per le Corti europee, le direttive del Consiglio di Stato ( 22 dicembre 2016 e 16 ottobre 2017) hanno previsto un limite di 35 pagine, in casi eccezional­i estensibil­e fino a 50.

In un primo tempo, i giudici hanno arginato gli eccessi di verbosità attraverso la condanna alle spese di giudizio ( articolo 26 Dlgs 104/ 2010 sulla giustizia amministra­tiva), o applicando la norma che consente di trascurare la lettura delle pagine eccedenti il limite consentito. L’articolo 13 ter della disposizio­ne di attuazione del Dlgs 104/ 2010, prevede infatti che gli argomenti contenuti nelle pagine in eccesso, possano essere trascurati dai giudici di primo grado. In sede di appello, quindi, chi ha scritto troppo non può lamentarsi se, nella sentenza a lui sfavorevol­e, non trova traccia degli argomenti illustrati nelle pagine successive, ad esempio alla numero 35. Le prime applicazio­ni di questa norma ( di dubbia compatibil­ità con l’accesso alla giustizia, garantito dall’articolo 6 Cedu) hanno condotto a sentenze severe, su casi peraltro di evidente eccesso ( su atti di oltre 150 pagine).

Sulla scia del processo amministra­tivo, analoghi principi vi sono anche nei giudizi di responsabi­lità contabile ( articolo 20 legge 124/ 2015) e nella giustizia civile e tributaria in Corte di cassazione ( protocollo 18 dicembre 2015: 5 pagine per il “fatto”, 30 per i “motivi di impugnazio­ne”). Paradossal­mente, poi, l’eliminazio­ne per Covid delle udienze “in presenza”, sostituite dalle videoconfe­renze, ha accresciut­o l’ansia di illustrare le vicende litigiose ammettendo, nel processo amministra­tivo, la possibilit­à di depositare memorie fino a pochi giorni, o a poche ore, dalla discussion­e della lite.

Di qui l’esigenza di abbandonar­e la logica delle sanzioni sulla verbosità, siano esse pecuniarie ( condanna alle spese) o processual­i ( diniego di valutazion­e degli argomenti illustrati nelle pagine eccedenti), a favore di una più equilibrat­a sollecitaz­ione, rivolta ai legali, di riscrivere le difese entro i consentiti limiti dimensiona­li. Infatti, il Consiglio di Stato afferma di non ritenere opportuno “sorprender­e” le parti con atteggiame­nti drastici o punitivi, preferendo adottare il principio di leale collaboraz­ione e consentire, con breve rinvio, un ragionevol­e riequilibr­io dimensiona­le delle difese.

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