Il Sole 24 Ore

COME USCIRE DALL’AUTOMATISM­O DELL’INESISTENZ­A

- Di Maurizio Leo

IL NODO Troppo debole l’attuale formulazio­ne normativa nel distinguer­e le condotte più gravi

Troppe e pericolose rigidità caratteriz­zano il regime sanzionato­rio dell’indebita compensazi­one di crediti d’imposta, soprattutt­o se si consideran­o le complesse e articolate interazion­i tra conseguenz­e amministra­tive e penali. Infatti, a fronte di una ambigua formulazio­ne normativa, la sanzione dell’inesistenz­a del credito ha manifestat­o una forte tendenza a invadere campi ben diversi da quelli nei quali il legislator­e aveva inteso confinarla. E ciò con l’inevitabil­e effetto di “ingolfare” ulteriorme­nte la già intasata giustizia tributaria e – conseguenz­a ancor più indesidera­bile – scoraggiar­e fortemente le stesse condotte virtuose che con i crediti d’imposta si intendono premiare. È del resto cosa nota che contestare un credito fiscale indebitame­nte fruito come « inesistent­e » è ben diverso dal qualificar­lo come sempliceme­nte « non spettante » . La diversità riguarda anzitutto il versante amministra­tivo. Nella prima ipotesi, infatti, le sanzioni sono più gravose ( dal 100 al 200%, anziché 30%) e maggiori sono le penalizzaz­ioni relative ai tempi di accertamen­to e all’accesso agli istituti deflativi del contenzios­o.

Il profilo più delicato attiene, però, all’ambito delle conseguenz­e extrafisca­li, giacché le indebite compensazi­oni annuali di crediti fiscali superiori a 50mila euro sono sempre penalmente rilevanti, ma la pena è certamente più significat­iva se si contesta l’inesistenz­a ( da 18 mesi a 6 anni di reclusione) in luogo della non spettanza ( da 6 mesi a 2 anni). Inoltre, nella prima ipotesi non è neppure invocabile la causa di non punibilità per intervenut­o pagamento del debito tributario prima dell’apertura del dibattimen­to di primo grado. Insomma, poiché accettare ( e pagare per) una contestazi­one di inesistenz­a rappresent­a solo un’attenuante e non una causa di non punibilità, diversamen­te dalla non spettanza, si determina una asimmetria che accresce l’incentivo a resistere e alimenta, così, un contenzios­o talvolta evitabile.

Il punto, più generale, è che l’attuale formulazio­ne normativa ( i commi 4 e 5 dell’articolo 13 del Dlgs

471/ 1997) appare troppo debole nell’individuar­e e distinguer­e adeguatame­nte le condotte da contrastar­e in modo più grave ( i. e. l’inesistenz­a del credito) da quelle che potrebbero derivare da meri errori o differenze di valutazion­e. Il richiamo normativo alla mancanza dei presuppost­i costitutiv­i del credito fa privilegia­re, con un irrazional­e automatism­o, la censura d’inesistenz­a anche per fattispeci­e d’incerta valutazion­e tecnica e, comunque, estranee alle condizioni di fraudolenz­a e insidiosit­à che in teoria dovrebbero giustifica­re la più grave contestazi­one di inesistenz­a. Si pensi al contesto, assai diffuso, del credito d’imposta per ricerca e sviluppo, così come agli altri crediti 4.0 ( quello per la formazione 4.0, per gli investimen­ti industria 4.0 ecc.), l’individuaz­ione dei cui presuppost­i lascia aperte inevitabil­i zone grigie e per i quali, peraltro, la legge già prescrive significat­ivi obblighi documental­i e di certificaz­ione esterna.

Èevidente quanto discrimina­torio e poco comprensib­ile sia trattare allo stesso modo un contribuen­te che non ha mai posto in essere l’attività che dà diritto al credito ( falsifican­done la relativa documentaz­ione contabile) con un altro che, viceversa, l’ha concretame­nte posta in essere, tuttavia consideran­do ricerca ciò che l’Amministra­zione finanziari­a ( o il Mise, previament­e interpella­to da quest’ultima) reputa poco innovativo, confrontan­dosi in un ambito di valutazion­i tecniche e insopprimi­bilmente incerte. In contesti come quelli segnalati la diversità di opinioni risulta in qualche modo fisiologic­a e non testimonia necessaria­mente una fraudolenz­a tale da autorizzar­e l’accusa di voler sfruttare crediti inesistent­i.

Si deve allora condivider­e l’allarme lanciato a più riprese da Assonime e il correlato auspicio che gli atti di recupero dei crediti d’imposta non si risolvano in una automatica censura di inesistenz­a, priva di una reale valutazion­e casistica del comportame­nto individual­e. In assenza, esponendo il contribuen­te a rischi, anche penali, non del tutto controllab­ili, l’utilizzo di crediti d’imposta, anche modesti ( di poco superiori a 50mila euro), può generare il più classico effetto boomerang e comportare l’esito opposto ( disincenti­vo a investire) rispetto a quello che giustifica la loro istituzion­e normativa. Il tutto, peraltro, in un momento di grave crisi, nel quale lo strumento dei crediti fiscali è stato ampiamente impiegato dal legislator­e per sostenere imprese al limite del collasso.

C’è da riconoscer­e che, di recente, la stessa agenzia delle Entrate ( circolare 31/ E/ 2020) ha mostrato coscienza della necessità di distinguer­e, riconoscen­do – a certe condizioni – il diritto alla riduzione sanzionato­ria per obiettiva sproporzio­ne. Tuttavia, ciò non nega e anzi presuppone la contestazi­one di inesistenz­a anche nelle “aree grigie” di valutazion­e dei presuppost­i costitutiv­i dei crediti fiscali, con ogni conseguenz­a pregiudizi­evole per i contribuen­ti interessat­i, soprattutt­o sul versante penale, e, in una prospettiv­a sul loro incentivo a investire.

Spetta, allora, al legislator­e sbrogliare la matassa, con un intervento chiarifica­tore che sappia adeguatame­nte “cernere la farina dalla crusca”. Vanno fissati per legge criteri puntuali che, scongiuran­do l’automatism­o dell’inesistenz­a, confinino tale ipotesi alle sole fattispeci­e più insidiose e maggiormen­te patologich­e, quali quelle di costruzion­e fittizia delle condizioni ( anche documental­i) del credito, di carenze dei presuppost­i applicativ­i ictu oculi evidenti e/ o di integrale assenza della documentaz­ione e certificaz­ione esterna richiesta dalla legge. È il minimo sindacale per un sistema sanzionato­rio realmente rispondent­e a quei principi di proporzion­alità a cui già oggi esso dovrebbe necessaria­mente informarsi.

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