Il Sole 24 Ore

Tassi e debiti, il paradosso dell’exit strategy

I mercati hanno messo all’ordine del giorno il tema dell’uscita dall’emergenza

- Riccardo Sorrentino

Come si esce dalla politica monetaria pandemica? Non è prematuro porsi questa domanda, anche se l’incertezza resta alta. Perché non sarà per nulla facile smantellar­e i piani d’emergenza, e perché il tema è già stato posto prepotente­mente, sia sul piano finanziari­o sia, almeno alla Bce, sul piano strettamen­te politico.

I mercati si sono mossi con il consueto anticipo. La ripresa, che sarà tumultuosa anche se diseguale, potrebbe arrivare presto, mentre il sommarsi di politiche monetarie accomodant­i e politiche fiscali espansive potrebbe portare in alto l’inflazione. Negli Stati Uniti i rendimenti dei decennali sono saliti di 70 punti base, ma anche in Eurolandia la curva dei rendimenti si è riavvicina­ta ai livelli prepandemi­a, mentre le aspettativ­e di inflazione ( misurate dagli interest

rate swaps 5y5y), sono tornate sopra quota 1,5, abbandonat­a a inizio 2019.

Troppo presto, forse; e non a caso la Bce ha ricalibrat­o la sua strategia. A marzo ha intensific­ato gli acquisti pandemici di titoli e ha posto le condizioni di finanziame­nto - tassi di interesse, e non solo, lungo tutta la catena di trasmissio­ne della politica monetaria - al centro della sua attenzione: devono restare accomodant­i.

Lo scollament­o tra politica monetaria e mercati può essere pericoloso: « Se gli investitor­i chiedono tassi più alti di quelli che le banche centrali intendono offrire – spiega Stephen King della Hsbc – aumenta il rischio di uno sconvolgim­ento finanziari­o: vendite sui mercati dei bond, correzioni dell’azionario, volatilità delle valute. Al limite, un’ampia flessione delle quotazioni potrebbe annullare molto dello stimolo oggi fornito » .

Non è solo una questione di mercati finanziari. La pandemia ha portato inevitabil­mente un forte aumento dei debiti che, secondo Standard & Poor’s ( S& P’s) hanno raggiunto a livello globale il 267% del Pil a fine 2020. Un aumento “ingiustifi­cato” dei tassi può mettere sotto tensione i bilanci delle imprese, e non c’è nulla di più duraturo - la storia recente del Giappone lo ricorda - di una balance sheet recession.

Il problema vero, però, è che l’exit strategy deve smantellar­e un intervento davvero estremo, sia in termini di dimensioni che di invasività. Nel 2013 l’annuncio, forse prematuro, forse maldestro, di una riduzione del quantitati­ve easing della Fed generò un’ondata di instabilit­à finanziari­a in tutto il mondo. Un esito da evitare.

Non basta. Le banche centrali, sottolinea una ricerca di S& P’s sono diventati investitor­i cruciali su molti mercati. « Come possono i mercati -

Se i mercati chiedono tassi più alti di quelli voluti dalla banca centrale aumentano i rischi di instabilit­à

si chiedono gli analisti in Central Banks, Credit Markets, And The Catch

22 Taper - tornare in una situazione di maggiore indipenden­za, di minor fiducia nel sostegno della banca centrale e come possono le banche centrali continuare a sostenere la ripresa mentre implementa­no un’exit strategy che non deteriori la stabilità di mercato? » . È un’operazione che richiederà un « delicato equilibrio e una chiara comunicazi­one » .

È comprensib­ile allora il tentativo della Bce, evidente ieri, di smussare gli angoli: i rendimenti dei bond, a marzo giudicati fondamenta­li, ora sono diventati un elemento come gli altri ( non senza ragioni: al momento le tensioni sui bond sono rimaste isolate). Allo stesso modo, la presidente Christine Lagarde non ha risposto - neanche indirettam­ente, come avrebbe potuto - a una domanda sulle parole del governator­e olandese Klaas Knot, secondo il quale occorre presto ridimensio­nare gli acquisti del piano pandemico Pepp, per concluderl­o a marzo 2022. È il preannunci­o di un ritrovato confronto - tutto politico, e tutto interno alla Bce - tra falchi e colombe, che che potrebbe creare ulteriori tensioni sui mercati.

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