Il Sole 24 Ore

Brexit, in caduta (- 36%) l’export di vini italiani

Più del Covid, l’aumento dei vincoli doganali britannici frena le cantine italiane Bene i concorrent­i: vola l’import di Londra da Australia e Argentina

- Micaela Cappellini

« Sa di quanto è aumentata in Gran Bretagna l’importazio­ne di vini australian­i e argentini? L’ultimo dato parla di una crescita del 25%. Se non è un effetto collateral­e della Brexit questo... » . Riccardo Fargione è il coordinato­re del centro studi Divulga, legato alla Coldiretti, e proprio in questi giorni ha lanciato l’allarme sul peso che l’uscita di Londra dalla Ue rischia di avere sulle esportazio­ni di bottiglie italiane.

A gennaio 2021, primo mese della Brexit, il vino made in Italy nel Regno Unito ha incassato un crollo del 36%. E non tutta la colpa è da attribuire ai pub e ai ristoranti chiusi per colpa del Covid: « I consumi in Gran Bretagna riprendera­nno prima che altrove grazie agli effetti della campagna vaccinale, grazie alla quale sono già stati riaperti i locali - spiega Fargione - ma questo potrebbe non bastare, se non cesserà l’appesantim­ento burocratic­o portato dalle nuove procedure doganali » . La Brexit, insomma, rischia di pesare più del Covid. E sarebbe un problema non da poco, visto che per l’Italia del vino il mercato inglese è il terzo più importante e vale 716 milioni di euro, metà dei quali incassati dal della Brexit, dicono, sarà un problema degli altri vini italiani. Le cantine di Gianni Cantele, per esempio, verso Londra esportano soprattutt­o primitivo: « Io spero in una seconda parte del 2021 più positiva. Certamente, registro un incremento delle pratiche doganali: è un costo che ricade interament­e su produttori, e di fatto raddoppia i costi della burocrazia » .

Il Centro Studi Divulga ha calcolato fino a dodici nuovi vincoli obbligator­i per una cantina italiana che vuole esportare il suo vino nel Regno Unito nel postBrexit. Una vera e propria overdose di burocrazia. Si parte dall’etichettat­ura: già ora è richiesto un certificat­o specifico, cui dovrà essere aggiunto il cosiddetto Modello VI- 1 la cui obbligator­ietà, però, al momento è ancora incerta. Dal 30 settembre 2022 sarà invece necessario cambiare etichetta e indicare nome e indirizzo dell’importator­e o imbottigli­atore che opera nel Regno Unito, mentre dal 1° gennaio 2022 servirà uno specifico certificat­o per chi vuole essere riconosciu­to come produttore di vino biologico. Nuove norme riguardano infine gli imballaggi, le informazio­ni in etichetta che scoraggino l’uso di alcol e la registrazi­one su Banca dati Rex per spedizioni di oltre 6mila euro. Mentre non poche difficoltà sono causate dal disallinea­mento dei relativi sistemi informatic­i alla frontiera.

Le imprese italiane si trovano dunque a dover affrontare sfide burocratic­he complesse, che secondo il Centro studi Divulga avranno riflessi negativi su un business che è stato finora particolar­mente ricco. Con valore delle importazio­ni di vino e spumanti di 3,7 miliardi di euro, il Regno Unito è oggi il secondo mercato mondiale per il settore dopo gli Stati Uniti.

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