IL PARADIGMA CIRCOLARE RIGENERA L’INDUSTRIA
La Giornata della Terra celebrata ieri è stata l’occasione per molti e sempre più numerosi brand di lanciare un prodotto o una collezione “sostenibile”. Una cascata di edizioni speciali che provano l’impegno della moda per uscire dalla sua condizione di seconda industria più inquinante al mondo, un impegno che però è ancora per molti versi insufficiente. È necessario cambiare un paradigma che coinvolge una di quelle che Kant definiva condizioni a priori: il tempo. Ogni volta che la moda ha scelto, e sceglie ancora, di adottarne la dimensione fast, la più veloce, le conseguenze sono state deleterie: e non intendiamo solo la categoria del “fast fashion”, come spiega efficacemente nell’intervista a fianco Tadashi Yanai, ma di un modo di concepire, produrre e vendere veloce perché proiettato solo nel breve periodo. Questo paradigma lineare deve essere sostituito da uno circolare, capace di tenere insieme l’origine e la fine di un prodotto, e nel mezzo donargli una vita più lunga possibile. Secondo la ong Ecos, l’ 80% dell’impatto ambientale di un capo di abbigliamento è determinato in fase di design. E per la Commissione Europea solo l’ 1% dei rifiuti tessili globali è riciclato e riutilizzato. In questo senso la formula scelta da Lvmh per battezzare il progetto con la scuola Central Saint Martins,
regenerative luxury, interpreta perfettamente la nuova prospettiva che l’industria della moda e del lusso devono assumere per essere sostenibili al di là delle capsule per la Giornata della Terra. Sempre secondo lo studio di Ecos, un capo indossato il doppio delle volte rispetto alla media genera il 44% in meno di gas serra rispetto alla produzione di un capo nuovo. Ecco perché, insieme a interessanti materiali, come la “pelle” fatta di funghi o cactus, o il nylon ricavato dai rifiuti che galleggiano negli oceani, la nuova frontiera dell’impegno passa dalla durabilità, dalla possibilità di riutilizzare, ma anche di riparare un prodotto. Nuove abitudini che possono generare e alimentare nuovi tipi di business, come quello del second hand, già vivacissimo, e che presto potremmo trovare anche nelle boutique o negli estore dei singoli marchi. Per una rigenerazione del nostro approccio al consumo, ben oltre la moda.