Il Sole 24 Ore

Aliquota Iva ridotta per la somministr­azione con servizi aggiuntivi

- — Anna Abagnale — Benedetto Santacroce

La cessione di cibi accompagna­ta da sevizi di supporto sufficient­i a consentirn­e il consumo immediato va considerat­a come servizio di ristorazio­ne ( o catering) ai fini Iva. L’attesa sentenza della Corte di giustizia, causa C

703/ 19, chiude il discorso sulla qualificaz­ione e tassazione Iva delle vendite da asporto e consegne a domicilio. Al riguardo si ricordi che, in seguito alle posizioni contrastan­ti nate sul piano nazionale ( si veda la risposta all’interrogaz­ione della Camera 5- 05007 e risposta a interpello delle Entrate 581 del 2020), l’intervento del legislator­e della legge di

Bilancio 2021 ( articolo 1, comma 40) è stato nel senso di considerar­e soggette all’aliquota Iva del 10% le cessioni di « piatti pronti e di pasti cotti, arrostiti, fritti o altrimenti preparati in vista del loro consumo immediato, della loro consegna a domicilio o dell’asporto » . Dunque sembrerebb­e che la norma abbia correttame­nte tradotto il diritto unionale in diritto interno, anticipand­o la pronuncia della Corte.

Secondo i giudici europei, innanzitut­to, ai fini della qualificaz­ione dei « servizi di ristorazio­ne e di catering » non hanno importanza le modalità di preparazio­ne dei cibi, in quanto ciò che rileva sono i servizi di supporto che accompagna­no la fornitura dei cibi preparati, i quali devono essere sufficient­i da consentire il consumo immediato degli stessi.

Al fine di tale verifica occorre considerar­e la presenza di vari elementi, ovvero la presenza di personale, l’esistenza di un servizio di trasmissio­ne delle ordinazion­i, la presentazi­one dei piatti, il servizio al tavolo, l’esistenza di locali chiusi, eccetera.

Tali aspetti, indubbiame­nte, caratteriz­zano il servizio di ristorazio­ne, ma non è trascurabi­le anche il punto di vista del consumator­e finale. Talché la Corte arriva alla conclusion­e per cui la qualificaz­ione dell’operazione quale prestazion­e di servizio o cessione di beni discenda dalla volontà del consumator­e. Se quest’ultimo sceglie di non beneficiar­e dei mezzi materiali e umani messi a sua disposizio­ne dal ristorator­e, essi non sono per lui determinan­ti. Di conseguenz­a nessun servizio di supporto accompagna la fornitura e l’operazione va qualificat­a come cessione di beni.

Tradotto in termini pratici, il principio espresso dalla giurisprud­enza europea richiede che i ristorator­i abbiano ben chiaro le intenzioni dei loro clienti in quanto dovranno trattare diversamen­te l’operazione, sul piano Iva, a seconda che il consumator­e richieda e “percepisca” un qualche servizio di supporto alla fornitura o meno. Il problema si pone in modo particolar­e per le bevande, in quanto alcune di esse, se cedute ( e non somministr­ate), non benefician­o dell’aliquota ridotta.

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