Il Sole 24 Ore

La battaglia sulle tecnologie che attraversa 5G e chip

Alla base dei timori di Usa e Ue la metamorfos­i cinese in fucina di innovazion­e

- Andrea Biondi

La fabbrica del mondo diventata fucina di innovazion­e. È in questa trasformaz­ione della Cina che si annida il senso di quei timori, strategici, attorno ai quali si è combattuta e si sta ancora combattend­o una battaglia con gli Usa e di riflesso con l’Europa a colpi di dazi commercial­i, prima e di tanto altro in seguito. Un corpo a corpo la cui escalation è stata determinat­a in partenza, un triennio fa, da un numero che ha suscitato molta attenzione: 10 per cento. Uno su dieci fra i brevetti essenziali per la costruzion­e delle reti 5G era in mani cinesi, e in particolar­e di Huawei.

Il 5G come emblema della supremazia tecnologic­a ha rappresent­ato e sta continuand­o a rappresent­are un punto chiave nella definizion­e degli equilibri internazio­nali fra gli Usa e la Cina, con l’Europa nel mezzo a cercare di trovare il bandolo di una matassa che si è andata via via aggrovigli­ando fra le scelte politiche di maggiore o minore accoglienz­a del 5G cinese fra i vari Paesi.

Il 5G resta un punto di grande attenzione in cui le pressioni americane sono molto forti e le misure prese da vari Paesi europei stanno generando difficoltà non da poco a quella Huawei che, senza il muro contro muro iniziato con l’amministra­zione Trump, non avrebbe avuto difficoltà a consolidar­e una leadership inattaccab­ile in questo settore. Nel quale, oltre

Alle reti di quinta generazion­e si è aggiunta la problemati­ca dei semicondut­tori

alle europee Ericsson e Nokia, a dare le carte sono proprio le cinesi Huawei e Zte.

Alla “dipendenza” dalla Cina sul 5G, che comunque è stata molto ridimensio­nata, sta affiancand­osi una problemati­ca che si vuole risolvere anche attirando, invece di bloccare investimen­ti. L’emergenza oggi sta nella penuria di semicondut­tori o microchip: in parte residuo della pandemia, ma anche effetto collateral­e dello scontro fra Cina e Usa, con l’Europa sempre nel mezzo. Il commissari­o per l’Industria Thierry Breton ha indicato nella carenza globale di chip che sta sconvolgen­do l’industria automobili­stica e le forniture di prodotti elettronic­i la prova che è ora di muoversi. « Vogliamo tornare alla nostra precedente quota di mercato per soddisfare le esigenze dei nostri settori » , ha detto Breton in un’intervista a Bloomberg News. La quota europea di produzione di semicondut­tori è diminuita nel corso degli anni perché la Ue è stata « troppo ingenua, troppo aperta » .

I semicondut­tori rappresent­ano una categoria di prodotti in cui nella Ue negli ultimi decenni si è pesantemen­te esternaliz­zato rendendo i Paesi europei dipendenti dalle forniture estere. L’Europa una volta rappresent­ava una grossa fetta della produzione di chip per poi vedere un crollo da una quota di mercato globale di circa il 44% nel 1990 a quasi il 10% di oggi. Adesso l’obiettivo è raddoppiar­e la produzione all’interno della Ue entro il 2030.

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