IL FACEBOOK DELLE LIBERTÀ E QUELLO DELLE REGOLE
Il comitato di controllo di Facebook, meglio conosciuto come oversight board, ha il compito di decidere sui casi a più alta tensione costituzionale, discendenti dall’apparente paradosso di un soggetto privato che esercita sempre più funzioni di natura para- costituzionale. Si è appena pronunciato circa la rimozione, da parte del social network, dell’account dell’ex presidente degli Stati Uniti a seguito dei fatti di Capitol Hill.
Il board, in conformità al mandato ricevuto, cioè stabilire se le decisioni di Facebook sulla permanenza o la rimozione di contenuti on line siano state prese in conformità non soltanto agli standard contrattuali, ma anche a quelli internazionali in materia di protezione dei diritti umani, ha deciso di confermare, in prima battuta, la decisione adottata dal social network di rimozione dell’account di Trump. Ha anche dato, però, delle interessanti indicazioni, vincolanti per lo stesso social, di rivedere alcuni meccanismi, per renderli più trasparenti e proporzionali.
Sulla conferma della decisione di Facebook, il board arriva alle stesse conclusioni prospettate, anche su queste pagine, qualche mese fa, circa il contenuto delle dichiarazioni di Trump. Si è trattato di fighting words, istigazioni alla violenza ad alta probabilità, visto anche il ruolo istituzionale di chi le pronunciava, a concretizzarsi ( come poi è successo di fatto) in azioni violente. Né gli standard internazionali, né un diritto quasi illimitato, quale è la libertà di espressione prevista dal Primo Emendamento della Costituzione USA, possono dare copertura a tali dichiarazioni. Dunque la scelta di Facebook è in linea non solo con i suoi standard contrattuali, ma anche con i parametri costituzionali di riferimento.
Quanto invece alle indicazioni ulteriori che emergono dalla decisione, sono di aspra critica rispetto alla vaghezza e all’opacità delle scelte del social network di applicare la sanzione della sospensione dell’account di Trump a tempo indeterminato. Non vi sono dubbi che istigazioni all’odio o alla violenza da parte di personaggi pubblici o, come sono definiti nella decisione, “influential users”, possono avere conseguenze assai più gravi e dannose rispetto a quanto condiviso da un utente “normale”. Ma ci devono essere regole chiare e trasparenti per una modulazione delle possibili sanzioni, dalla rimozione del contenuto fino alla disabilitazione permanente. Per questo si ordina a Facebook di rivedere la propria scelta, alla luce del principio di proporzionalità e in coerenza con le regole che sono applicate agli altri utenti della sua piattaforma, e si assegna all’azienda un termine perentorio di sei mesi per riesaminare la decisione presa nei confronti di Trump.
In conclusione, un caso tutto statunitense si colora di europeo nell’applicazione di un principio cardine del costituzionalismo del vecchio continente: la proporzionalità della restrizione di un diritto fondamentale. Specie se operata da chi, come si legge nella decisione del board, è sempre più un medium indispensabile per il discorso pubblico in generale e politico in particolare.