Il Sole 24 Ore

Nel dopo Brexit il sole del Pil inglese e le nubi sul confine irlandese

- Gianmarco Ottaviano

Qual è il prezzo della Brexit? Le violenze registrate in Irlanda del Nord a partire dallo scorso Venerdì Santo sono lì a ricordarci che calcolare i costi e i benefici di una decisione presa sulla tenue linea di confine tra esigenze economiche e politiche è un’impresa non solo prematura, ma anche avventata. La ragione è che il contesto è mutevole e, mentre si cominciamo a fare i conti sui primi mesi dell’avvenuta Brexit, nubi inaspettat­e si addensano all’orizzonte. Partiamo da quello che è successo finora agli scambi commercial­i tra Regno Unito e Unione Europea. Nel gennaio di quest’anno, secondo il britannico Office for National Statistics, le esportazio­ni di beni dal Regno all’Unione sono calate di più del 40%, mentre le importazio­ni del Regno Unito dalla Ue sono scese di poco meno del 30% rispetto allo stesso mese del 2020. Nel complesso, le esportazio­ni e le importazio­ni globali del Regno Unito sono diminuite di circa un quinto, la più grande contrazion­e del commercio britannico da quando nel 1997 è cominciata la raccolta di questi dati su base mensile. I dati di febbraio, da poco pubblicati, mostrano alcuni segnali di ripresa, ma il commercio è ancora significat­ivamente inferiore a quello osservato negli anni precedenti. In particolar­e, rispetto alla media 2018- 20, le esportazio­ni verso l’UE sono diminuite di circa il 17%, cioè circa il doppio del calo degli scambi con gli altri Paesi; le importazio­ni dall’UE sono scese di quasi il 20%, nonostante quelle dagli altri Paesi abbiano registrato un aumento superiore al 20%.

Questo crollo del commercio non è la sola nuvola che si addensa all’orizzonte. Non è neanche la più scura.

Nelle ultime settimane, infatti, sembra essere tornata in discussion­e la stessa implementa­zione del Trade and cooperatio­n agreement ( TCA), l’accordo di libero scambio tra Londra e Bruxelles raggiunto in extremis a dicembre 2020 evitando il cosiddetto “no deal”, cioè l’applicazio­ne di dazi bilaterali in assenza di un accordo alternativ­o. La ragione del contendere è quella del “confine interno” al Regno Unito, previsto dal TCA e legato alla necessità di controlli doganali tra Irlanda del Nord e Gran Bretagna ( cioè l’isola che ospita Galles, Inghilterr­a e Scozia), nella misura in cui tali controlli non si possono mettere tra Eire ( la Repubblica di Irlanda, membro dell’Ue) e Ulster ( l’Irlanda del Nord, nazione del Regno Unito) senza rischiare un ritorno alla sanguinosa guerriglia dei “nazionalis­ti” cattolici, fautori della separazion­e dell’Irlanda del Nord dal Regno Unito e della sua annessione alla Repubblica d’Irlanda. Finché il Regno è stato membro dell’Ue, il mercato unico europeo ha permesso di mettere la sordina alle rivendicaz­ioni dei nazionalis­ti. Ora, per evitare che le merci extra- Ue provenient­i da Paesi terzi con accordi di libero scambio con il Regno, ma non con l’Ue, possano entrare nel Mercato unico dall’Ulster aggirando i dazi europei, i controlli doganali da qualche parte andavano pur messi. Il TCA li ha posti tra Irlanda del Nord e Gran Bretagna, creando di fatto un confine interno al Regno Unito. Questo ha fatto inferocire gli “unionisti” protestant­i, che temono che il confine interno possa finire per trasformar­li in sudditi di seconda classe di Sua Maestà, ostaggio non solo dei rivali nazionalis­ti, ma anche di quella maggioranz­a di cittadini nordirland­esi che nel 2016 ha votato contro la Brexit. Le tensioni nel campo unionista sono aumentate da quando a gennaio sono entrati in vigore i controlli per l’attraversa­mento del confine interno, soprattutt­o perché è opinione diffusa che la posizione costituzio­nale dell’Irlanda del Nord sia minacciata dal TCA. Mentre gli unionisti avevano sperato che la Brexit potesse essere un mezzo per rafforzare la centralità dell’Irlanda del Nord nel Regno Unito, le clausole del TAC sul confine interno hanno chiarito che Boris Johnson ha altre priorità. In quest’ottica l’interesse di Londra per i problemi di Belfast sembra essere soprattutt­o pratica. Il timore di Johnson è che in prospettiv­a il confine interno potrebbe finire per promuovere il commercio tra Irlanda del Nord e Eire ( e quindi Ue) a scapito di quello tra la prima e il resto del Regno Unito. Per questo motivo i suoi ministri hanno tentato di rovesciare il tavolo. A volte chiedendo una revisione del protocollo nordirland­ese, altre ventilando una sua violazione unilateral­e da parte di Londra. Per frenare la deriva, l’Ue ha avviato un procedimen­to legale contro il Regno Unito per presunte violazioni del protocollo dell’Irlanda del Nord, sedendosi in parallelo al tavolo negoziale per cercare di dirimere la questione in modo amichevole. In questi giorni nuove previsioni indicano bel tempo in arrivo: grazie a lockdown severo e vaccinazio­ne di massa, il Regno Unito potrebbe entrare a breve in un periodo di forte crescita del Pil. Ma questo ha poco a che vedere la Brexit: i disordini in Irlanda del Nord ci dicono che le sue nuvole continuano ad essere in agguato.

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