Ma attenzione a non ripetere gli errori del passato
Partiamo dall’assioma “i bambini li portano le cicogne”. Da ciò deriva il teorema secondo cui il contraccettivo migliore è abbattere le cicogne stesse. Derivare teoremi matematicamente fondati da assiomi inverosimili è procedura tipica dell’economia mainstream. La bozza del Pnrr del governo Draghi sembra aver assunto questa posizione in aderenza alle raccomandazioni della commissione europea che si propone di mitigare gli squilibri macroeconomici di ogni singolo Paese.
Nello sfondo il mantra tipico del liberismo: riformare il sistema per farlo assomigliare il più possibile ad una economia di libero mercato, la sola che dovrebbe garantire efficienza produttiva ed ottimalità distributiva. Riformare per crescere.
Il problema è che crescere as usual è improponibile come la crisi ambientale dovrebbe aver insegnato e più che riforme serve una trasformazione. L’impronta ecologica della produzione è già così forte che potrebbe farci credere che una transizione ecologica solo sia sufficiente. Anche se azzerassimo la produzione di CO2 si dovrebbero ancora affrontare enormi crisi ecologiche, dalla perdita della biodiversità alla deforestazione, dall’acidificazione degli oceani alla sovrappopolazione, dalla grave perturbazione del ciclo dell'azoto ( e di altri cicli biogeochimici) alla concentrazione di ozono nell’atmosfera. La correlazione tra crescita della produzione mondiale e sfruttamento delle risorse naturali non può essere più trascurata. Occorre allora riconoscere l’offerta di risorse naturali non riproducibili non è infinita e che il sistema di mercato è incapace di co- ordinare - se non altro perché i prezzi sono determinati dal valore di scambio e non da quello d’uso ( e la biosfera è un tipico “bene” che ha valore d’uso ma non di scambio). Se è difficile quantificare i danni diretti operati dall’uomo nel corso delle sue attività produttive, appare ancora più difficile calcolare il costo delle ripercussioni indirette, come quelle causate dai cambiamenti climatici. Le condizioni sopra ricordate ci ammoniscono ad affrontare i problemi della crisi del sistema: distribuzione iniqua, povertà e precarietà in aumento. Si può così individuare un disegno strategico: produrre in modo compatibile con l’ambiente e con l’umanità, cioè col benessere e non col Pil, mentre l’aumento demografico sta mettendo in forte pressione la biodiversità.
Quando si attribuisce – come fa il Pnrr - un valore numerico alla produttività del capitale ( rapporto tra valore aggiunto e capitale) si dimentica che la teoria dominante non è in grado di fornire una misurazione del capitale stesso e che anche il numeratore ha problemi di quantificazione.
Resta poi aperta la questione della gestione del rapporto debito- Pil e del rispetto dei vincoli di bilancio che costringe alcuni Paesi, tra i quali l’Italia, a tagliare la spesa pubblica e gli investimenti; questo si ripercuote inevitabilmente con effetti negativi sulla crescita. E siamo pure stanchi della litania Paesi frugali vs Paesi cicale quando è nota almeno dai lavori di Fuà di 40 anni fa una storia del tutto diversa. La maggiore spesa pubblica dei Pigs non è tanto un problema di avere le mani bucate, ma essere Paesi a sviluppo recente con deficit di infrastrutture e tecnologia rispetto ai Paesi a sviluppo antico ( non è un caso che tutti i paesi del Sud Europa siano sempre in passivo nel commercio estero nei beni e servizi tecnologicamente avanzati).
Non dimentichiamo che si sta parlando di un Piano di resilienza. In ecologia resilienza indica la capacità di un sistema di ritornare al suo stato iniziale dopo una perturbazione. Se c’è una cosa che la crisi ambientale ci ha insegnato è che non possiamo tornare al business as
usual a pena di una perdita irreversibile della biodiversità. Vogliamo davvero tornare su quel cammino di crescita a spese della Natura?