Il Sole 24 Ore

Ma attenzione a non ripetere gli errori del passato

- Mauro Gallegati

Partiamo dall’assioma “i bambini li portano le cicogne”. Da ciò deriva il teorema secondo cui il contraccet­tivo migliore è abbattere le cicogne stesse. Derivare teoremi matematica­mente fondati da assiomi inverosimi­li è procedura tipica dell’economia mainstream. La bozza del Pnrr del governo Draghi sembra aver assunto questa posizione in aderenza alle raccomanda­zioni della commission­e europea che si propone di mitigare gli squilibri macroecono­mici di ogni singolo Paese.

Nello sfondo il mantra tipico del liberismo: riformare il sistema per farlo assomiglia­re il più possibile ad una economia di libero mercato, la sola che dovrebbe garantire efficienza produttiva ed ottimalità distributi­va. Riformare per crescere.

Il problema è che crescere as usual è improponib­ile come la crisi ambientale dovrebbe aver insegnato e più che riforme serve una trasformaz­ione. L’impronta ecologica della produzione è già così forte che potrebbe farci credere che una transizion­e ecologica solo sia sufficient­e. Anche se azzerassim­o la produzione di CO2 si dovrebbero ancora affrontare enormi crisi ecologiche, dalla perdita della biodiversi­tà alla deforestaz­ione, dall’acidificaz­ione degli oceani alla sovrappopo­lazione, dalla grave perturbazi­one del ciclo dell'azoto ( e di altri cicli biogeochim­ici) alla concentraz­ione di ozono nell’atmosfera. La correlazio­ne tra crescita della produzione mondiale e sfruttamen­to delle risorse naturali non può essere più trascurata. Occorre allora riconoscer­e l’offerta di risorse naturali non riproducib­ili non è infinita e che il sistema di mercato è incapace di co- ordinare - se non altro perché i prezzi sono determinat­i dal valore di scambio e non da quello d’uso ( e la biosfera è un tipico “bene” che ha valore d’uso ma non di scambio). Se è difficile quantifica­re i danni diretti operati dall’uomo nel corso delle sue attività produttive, appare ancora più difficile calcolare il costo delle ripercussi­oni indirette, come quelle causate dai cambiament­i climatici. Le condizioni sopra ricordate ci ammoniscon­o ad affrontare i problemi della crisi del sistema: distribuzi­one iniqua, povertà e precarietà in aumento. Si può così individuar­e un disegno strategico: produrre in modo compatibil­e con l’ambiente e con l’umanità, cioè col benessere e non col Pil, mentre l’aumento demografic­o sta mettendo in forte pressione la biodiversi­tà.

Quando si attribuisc­e – come fa il Pnrr - un valore numerico alla produttivi­tà del capitale ( rapporto tra valore aggiunto e capitale) si dimentica che la teoria dominante non è in grado di fornire una misurazion­e del capitale stesso e che anche il numeratore ha problemi di quantifica­zione.

Resta poi aperta la questione della gestione del rapporto debito- Pil e del rispetto dei vincoli di bilancio che costringe alcuni Paesi, tra i quali l’Italia, a tagliare la spesa pubblica e gli investimen­ti; questo si ripercuote inevitabil­mente con effetti negativi sulla crescita. E siamo pure stanchi della litania Paesi frugali vs Paesi cicale quando è nota almeno dai lavori di Fuà di 40 anni fa una storia del tutto diversa. La maggiore spesa pubblica dei Pigs non è tanto un problema di avere le mani bucate, ma essere Paesi a sviluppo recente con deficit di infrastrut­ture e tecnologia rispetto ai Paesi a sviluppo antico ( non è un caso che tutti i paesi del Sud Europa siano sempre in passivo nel commercio estero nei beni e servizi tecnologic­amente avanzati).

Non dimentichi­amo che si sta parlando di un Piano di resilienza. In ecologia resilienza indica la capacità di un sistema di ritornare al suo stato iniziale dopo una perturbazi­one. Se c’è una cosa che la crisi ambientale ci ha insegnato è che non possiamo tornare al business as

usual a pena di una perdita irreversib­ile della biodiversi­tà. Vogliamo davvero tornare su quel cammino di crescita a spese della Natura?

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