I giudici confermano la nullità dei patti in vista del divorzio
Prevale l’indisponibilità dei diritti nascenti dal matrimonio
La Corte di cassazione, con un’ordinanza depositata nei giorni scorsi ( n. 11012 del 2021) è tornata su un tema che da anni è al centro del dibattito nell’ambito del diritto di famiglia: il problema della validità dei patti in vista del divorzio. La Cassazione ha ribadito – e persino inasprito - l’orientamento tradizionale che afferma la nullità di tali patti per contrasto con l’articolo 160 del Codice civile che afferma l’indisponibilità dei diritti che nascono dal matrimonio.
La decisione rappresenta un significativo punto di arresto lungo una linea evolutiva che da tempo vede l’affermazione progressiva e crescente di valori di autodeterminazione anche nel diritto di famiglia. La stessa Corte di cassazione - in due occasioni nel 2012 e nel 2014 - aveva mostrato significative aperture verso l’affermazione della validità, quanto meno in alcune ipotesi, dei patti in vista del divorzio evidenziando come, in molti ordinamenti, essi svolgono una proficua funzione di deflazione del contenzioso in una materia che incide significativamente sui diritti delle persone.
Un’evoluzione in questa direzione sembra necessaria nel diritto di famiglia contemporaneo, nel quale le esigenze di prevenzione e gestione anticipata del possibile contenzioso sono particolarmente pressanti alla luce degli effetti devastanti che può avere un lungo contenzioso civile. Sorprende che la Cassazione abbia ribadito, senza incertezze e in termini generali, il principio della nullità dei patti in vista del divorzio in una vicenda nella quale il patto era stato stipulato al momento della separazione, in vista di un divorzio destinato a essere pronunciato pochi mesi dopo. Il divorzio, infatti, sulla base della legge del 2015 che ha modificato l’articolo 3, n. 2, lettera b) della legge 898/ 1970, può essere pronunciato dopo un tempo molto breve ( solo sei mesi) dalla pronuncia della separazione.
È normale che i coniugi, raggiungendo un accordo per una separazione consensuale, vogliano dare alla loro intesa un orizzonte temporale superiore ai sei mesi e quindi vogliano disciplinare anche gli effetti del futuro, ma assai prossimo, divorzio. La Cassazione continua tenacemente a negare la validità di tali accordi: possibile che non ci si renda conto che questa giurisprudenza ostacola e impedisce ai coniugi la definizione consensuale del loro conflitto al momento della separazione? Stupisce ancora di più che la recente decisione abbia affermato la nullità di un patto in vista del divorzio che era finalizzato a proteggere il diritto del coniuge più debole a ricevere
Si impedisce ai coniugi la definizione del conflitto al momento della separazione
un assegno divorzile, mentre in passato la Corte aveva ritenuto che si trattasse di una nullità relativa, cioè di una nullità che può essere fatta valere solo dalla parte debole nei confronti di quella forte.
Non resta quindi che prendere atto che siamo ancora lontanissimi dall’affermazione della efficacia dei cosiddetti prenuptial agreements cioè degli accordi stipulati dai coniugi al momento del matrimonio in vista dell’eventuale futuro divorzio, patti che invece vengono considerati efficaci in molti ordinamenti con i quali siamo abituati a confrontarci per civiltà ed efficienza delle soluzioni adottate.
Nel nostro ordinamento vi è quindi ancora un’atmosfera di insostenibile arretratezza ogni volta che ci poniamo il tema della prevenzione del conflitto nelle relazioni familiari. Dalla fine del matrimonio ai patti sul passaggio generazionale della ricchezza: qualunque tentativo di gestione anticipata e meditata del contenzioso familiare cade sotto la scure della nullità.