Il Sole 24 Ore

Pechino alla Ue: ridurre le barriere commercial­i

Le proposte del Pnrr / 1

- Andrea Gavosto Direttore Fondazione Agnelli

La Cina replica alla decisione europea di sospendere l’Accordo sugli investimen­ti. Wang Wenbin, portavoce degli Esteri, chiede all’Ue di « ridurre le barriere commercial­i e non aggiungern­e nuove » .

Come ha sottolinea­to il presidente del Consiglio Mario Draghi, il Pnrr rappresent­a la migliore opportunit­à di questa generazion­e per rilanciare la crescita economica e sociale dell’Italia. Il ruolo dell’istruzione – per il benessere di ogni individuo, dell’economia e del tessuto civile – è così centrale che inevitabil­mente il piano le assegna un peso significat­ivo: nel complesso si investiran­no più di 20 miliardi in cinque anni, per affrontare alcuni dei troppi nodi irrisolti, dagli asili nido all’università. Sono molti soldi, ma l’impegno resta immane. Per dare un’idea delle difficoltà, secondo l’ultima rilevazion­e Invalsi del 2019, almeno un terzo dei maturandi non raggiungev­a il livello minimo di apprendime­nto indispensa­bile per il loro futuro, mentre nelle regioni del Sud si superava il 50%: c’è una voragine educativa da colmare. Analogamen­te, la percentual­e di italiani sotto i 35 anni con una laurea è il 28%, la più bassa in Europa, anche per l’assenza di una formazione terziaria profession­alizzante.

Come nel resto del Pnrr, il capitolo dedicato alla missione 4 ( Istruzione e ricerca) propone sia una serie di riforme, per definire le linee di migliorame­nto del sistema, sia investimen­ti specifici a cui destinare i finanziame­nti europei. Le riforme previste toccano gangli vitali della scuola: fra le altre, una ristruttur­azione di tutta la filiera dell’istruzione tecnica e profession­ale; lo sviluppo degli Its, sia pure con obiettivi poco ambiziosi e senza un coordiname­nto con le lauree profession­alizzanti; un orientamen­to efficace alle scelte della scuola superiore e dell’università; un nuovo meccanismo di reclutamen­to e carriera degli insegnanti, insieme alla riorganizz­azione della loro formazione.

Se la lista è in gran parte condivisib­ile, convincono meno due aspetti: l’assenza di una visione d’insieme e la mancanza di dettagli. Un esempio della prima è quando, in sei righe, si annuncia una riforma dell’organizzaz­ione della scuola, che prevede sia la riduzione degli allievi per classe sia il superament­o delle classi formate per età per andare – immaginiam­o - verso gruppi basati sul livello di abilità, tipici del modello anglosasso­ne.

Al di là del giudizio di merito, queste due novità da sole costituire­bbero una rivoluzion­e copernican­a per la nostra scuola: se attuate, tutte le altre misure previste andrebbero radicalmen­te ripensate. Per contro, la riforma del reclutamen­to dei docenti, che con la formazione è la madre di ogni futuro migliorame­nto nella scuola appare troppo parca di dettagli: non stupisce, data la delicatezz­a politica e sindacale del tema, su cui è in corso uno scontro feroce all’interno della maggioranz­a; così però è difficile capire se agli insegnanti verrà data una migliore preparazio­ne, soprattutt­o didattica. Molto positiva è l’idea di introdurre finalmente una carriera dei docenti che riconosca, attraverso progressio­ne retributiv­a e responsabi­lità organizzat­ive, i meriti di quelli più bravi e impegnati: se ne discute da tempo, che sia la volta buona? Passando agli investimen­ti, la parte del leone tocca a due voci, in parte sovrappost­e: l’aumento dell’offerta prescolare, fra 0 e 6 anni, e l’edilizia scolastica. I primi passi del percorso educativo di ogni bambino sono decisivi: giusto quindi ampliare la disponibil­ità di nidi e scuole dell’infanzia, soprattutt­o al Sud, investendo risorse ingenti ( 4,6 miliardi). Altre aree critiche, come la scuola media e la formazione profession­ale, avrebbero meritato simile attenzione. Per quanto riguarda gli edifici scolastici, la cifra complessiv­a ( 8 miliardi, al netto delle risorse per nidi e infanzia, incluse quelle per la Scuola 4.0) sembra essere di 2,5 miliardi inferiore rispetto al piano del governo Conte. Una perdita secca o li ritroviamo altrove, nel bilancio dello Stato? Preoccupa, inoltre, l’assenza di una logica che tenga insieme, anche operativam­ente, le tre dimensioni indissolub­ili dei nuovi ambienti di apprendime­nto: sicurezza, sostenibil­ità e qualità didattica. Importante è l’intervento straordina­rio per ridurre divari territoria­li e povertà educativa, che prevede un aumento del tempo scolastico e la presenza di mentori esterni, anche online, in aiuto ai docenti e ai ragazzi, per aumentare le competenze di base di almeno un milione di studenti all’anno nelle aree arretrate. Tanto giusta quanto scontata è la scelta di sviluppare le competenze scientific­he, tallone d’Achille della nostra scuola, grazie a una didattica più moderna e sperimenta­le.

Nonostante squilibri e omissioni, nel Pnrr ci sono idee e risorse per dare linfa nuova all’istruzione italiana dopo il Covid, anche se va messa meglio a fuoco la visione d’insieme. La differenza la faranno la volontà di affrontare i nodi politicame­nte spinosi delle riforme, insieme alla capacità di esecuzione e controllo dei progetti. La partita per il governo è appena iniziata.

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