Riscossione, ipotesi rate in 6- 10 anni per le imprese
La dilazione lunga sarebbe riservata a chi ha perso il 30% di fatturato
Oltre a ufficializzare ex post un altro mese di stop alla riscossione, il decreto bis sui sostegni atteso in consiglio dei ministri la prossima settimana proverà a introdurre una ripresa lenta degli incassi a carico delle imprese in crisi.
La ripartenza dei 40 milioni di notifiche che si sono accumulate nei lunghi mesi di congelamento da Covid sarà diluita in almeno due anni, come già previsto dal primo decreto sostegni. Ma al ministero dell’Economia si lavora a un calendario più lungo da riservare alle imprese più colpite dalla crisi.
Il punto di riferimento è il meccanismo delle rateizzazioni che già oggi le regole riconoscono alle persone fisiche, in un piano di pagamenti che si può allungare fino a sei anni per chi ha redditi non superiori a 100mila euro all’anno. L’idea, promossa in particolare dal sottosegretario all’Economia Claudio Durigon ( Lega), è quella di applicare un meccanismo analogo alle imprese e alle partite Iva più colpite dagli effetti economici della pandemia, individuate con il solito criterio del calo di fatturato pari almeno al 30% rispetto ai livelli precrisi. Sul tavolo in realtà ci sono anche ipotesi più ambiziose, che snocciolano dilazioni in 10 anni. Ma la sorte di questa discussione resta sempre appesa alla difficile partita che circonda tutto l’impianto delle coperture.
Non va dimenticato infatti che nel primo decreto sostegni è bastato uno slittamento di due mesi del riavvio della riscossione per imporre una copertura da oltre 500 milioni necessaria a compensare la finanza pubblica per l’effetto domino dei rinvii, che sposta al prossimo anno pagamenti attesi invece nella seconda metà di questo in assenza di proroghe.
Il terreno su cui si dovrà muovere il provvedimento è molto ampio, costruito sui 40 miliardi di scostamento approvati dalle Camere nelle scorse settimane. Cinque di questi miliardi sono però già prenotati dalla prima casella annuale del fondone « complementare » ( 30,5 miliardi nel 2021- 26) con cui il governo ha rafforzato il piano di investimenti del Recovery Plan. E su quel che resta è piovuta la tegola della discussione all’interno del governo sulle modalità per replicare gli aiuti a fondo perduto.
Sotto le critiche della destra, da Lega e Fi, è finito l’impianto da 14 miliardi costruito al ministero dell’Economia, e ancorato ai consueti parametri della perdita di fatturato e della soglia di calo pari almeno al 30% per avere accesso agli aiuti. Giancarlo Giorgetti si è fatto portavoce della richiesta di rivedere tutto, e di cancellarla soglia. Ma ogni ampliamento della platea impone di allargare le coperture, a meno di non dare aiuti unitari più leggeri rispetto a quelli già arrivati nelle scorse settimane. Ipotesi politicamente impraticabile, come è però difficile ipotizzare l’addio ad altre misure già previste nel decreto, mentre nel frattempo si sono affacciate nuove emergenze come il rischio default di oltre 800 Comuni a seguito della sentenza 80/ 2021 della Consulta sul fondo anticipazioni di liquidità. La politica ha chiesto in coro di intervenire, e anche lì servono soldi ( quasi 3 miliardi su tre o cinque anni). E tre miliardi sarebbero stati già ipotecati dall’ennesimo salva- Alitalia. Un rebus che si complica con il passare dei giorni.