L’AMERICA DI BIDEN SPAZZA VIA IL NEUTRALISMO EUROPEO
Chi avrebbe potuto immaginare che, dopo 7 anni di negoziati e la rincorsa forsennata di fine 2020 per riuscire finalmente a siglarlo, all’Europa sarebbero bastati soltanto 126 giorni per gettare alle ortiche l’accordo sugli investimenti con la Cina, puntare sull’India, il suo storico rivale asiatico, e addirittura munirsi di un sistema comune di difesa antiscalate straniere ( cinesi in testa) in arrivo da imprese sovvenzionate dallo Stato, a tutela del suo mercato unico e di un equo regime di concorrenza?
Dopo la grande svolta del Recovery, che ne finanzierà riforme e rivoluzione socioeconomica, verde e digitale per ridarle dinamismo, coesione e convergenze interne, l’Unione post- Covid intende ora completare l’opera ritrovando anche indipendenza strategica e sovranità economica con una politica industriale e commerciale che la affranchi dalla troppe vulnerabilità e dipendenze accumulate negli anni della globalizzazione acritica e messe a nudo dalla pandemia.
Questa seconda svolta però appare ancora più difficile e complessa della prima. Perché è destinata a strappare la maschera a tutte le ambiguità, divisioni e incoerenze dell’Europa nella sua confusissima proiezione esterna. Specie se di mezzo ci sono Cina e Russia.
Paradossalmente l’agognato arrivo dell’America di Joe Biden, le ritrovate affinità culturali, ideologiche e atlantiche la rassicurano solo fino a un certo punto. Perché la sua è un’Amministrazione militante: dall’etica dei valori alla netta difesa degli interessi economici e geo- strategici con la dottrina della grande alleanza tra democrazie per rispondere alla sfida delle maggiori autocrazie: Cina e Russia appunto.
L’Europa a guida tedesca preferirebbe l’equidistanza, un utilitarismo neutrale mirato agli affari più che a grandi cause e leadership globale. Per questo aveva risposto picche alla Casa Bianca dopo il precipitoso accordo con la Cina. Le immense promesse del suo mercato, quasi 600 miliardi annui di interscambio, il sorpasso cinese sugli Stati Uniti come maggior partner commerciale, una pesante interdipendenza economico- industriale, la penetrazione cinese nell’Est dell’Unione con il gruppo dei 17+ 1: le ragioni della riluttanza a schierarsi.
Poi il voltafaccia. Le ripetute violazioni dei diritti umani ai danni di uiguri e cittadini di Hong
Kong l’hanno spinta a sanzionare i cinesi, che hanno risposto colpendo anche alcuni deputati europei, quelli che avrebbero dovuto dare il via libera all’accordo sugli investimenti.
Le pressioni Usa, il governo Merkel al tramonto e l’ascesa dei Verdi, decisamente europeisti e atlantisti, che potrebbero conquistare la cancelleria in settembre, hanno fatto il resto. Anche perché c’è chi comincia a dubitare dell’imminente sorpasso della Cina sugli Stati Uniti.
Vaccinazioni di massa e piani di stimoli e rilancio di Biden hanno messo il turbo alla ripresa Usa, mentre cresce la convinzione che i primati economici, finanziari e tecnologici che più contano sono e resteranno ancora per anni americani.
Oggi nel mondo sono americane 7 delle 10 società quotate di maggior valore. Tra le prime 5 i colossi tecnologici Apple, Microsoft, Amazon e Alphabet e Facebook. Le cinesi Tencent e Alibaba sono al settimo e nono posto. Anche in biotecnologie e scienze della vita, gli Usa primeggiano con 7 nelle
Costretta a scegliere tra Usa e Cina, la Ue deve schierarsi, mettendo a nudo divisioni e incoerenze
prime 10, il resto sono europee, nessuna cinese. Negli ultimi 3 anni gli investimenti Usa in venture capital hanno sfiorato i 500 miliardi contro meno di 400 di Cina, Gran Bretagna, India, Germania, Francia, Canada, Israele e Singapore messi insieme. E sono Usa 10 delle 20 università migliori del mondo, una sola è cinese.
Vero che Huawei, il colosso pubblico delle telecom cinesi non è quotato, che nel 2019 i cinesi hanno battuto gli Usa nel deposito di brevetti ( 59.045 contro 57,705). Vero che l’economia cinese potrà superare quella Usa per dimensione ma verosimilmente non per potenziale di innovazione e produttività. Soprattutto se sommato a quello dei suoi alleati.
Sono questi i dati che hanno scosso il neutralismo europeo. Un’America amica ed economicamente effervescente val bene la reprimenda alla Cina, arrivata compatta dal G7 di Londra. Vale l’adesione alla nuova alleanza occidentale. E ancora di più la riscossa dell’economia europea nel segno della reciprocità con Pechino: una strada win- win per tutti. La Cina di Xi però per ora non condivide.