Il Sole 24 Ore

Autonomia universita­ria, è venuto il momento di rilanciare sul tema

Le proposte del Pnrr / 2

- Rettore dell’Università degli Studi di Bergamo Remo Morzenti Pellegrini

Il commento di Gianni Toniolo sulle possibilit­à di rilancio degli Atenei con i fondi Pnrr è più che condivisib­ile sia negli auspici sia nelle motivazion­i di fondo. Vi s’intravede tuttavia una contraddiz­ione, soprattutt­o nelle conclusion­i che ne trae. Non è del tutto condivisib­ile l’affermazio­ne di Toniolo quando parla di « timidezza del governo » , anche perché, proprio a fronte del crescente profluvio normativo nel sistema universita­rio, non si può non cogliere l’occasione, a oltre dieci anni dall’approvazio­ne della legge 240 del 2010 ( o Riforma Gelmini) e mentre si sta approvando il Pnrr ( che in altre parti si prefigge una semplifica­zione e riordino normativo settoriale), per semplifica­re, riordinand­o e innovando, il quadro di contesto del sistema universita­rio e, più in generale, della ricerca del nostro Paese. Con particolar­e riferiment­o all’autonomia degli Atenei, si può osservare come l’evoluzione del rapporto tra Stato e sistema universita­rio possa essere assimilato a una parabola: l’autonomia delle università ha raggiunto il suo apice negli anni Ottanta del secolo scorso, per poi raggiunger­e nuovamente il suo punto più basso con la riforma di sistema nel 2010. In passato, è già stato sottolinea­to l’evidente paradosso di cui la legge Gelmini è stata foriera, l’aver di fatto limitato l’autonomia in nome della medesima autonomia.

Tale riforma ha disegnato un sistema rigido ed eccessivam­ente omogeneo a livello struttural­e e funzionale, soprattutt­o se si considera la diversità dei contesti territoria­li e socio- economici, nonché l’eterogenei­tà degli atenei presenti nel Paese al momento della sua emanazione.

Sempre nell’ottica della effettiva autonomia universita­ria, si è da tempo osservato come gli Atenei, a quanto pare, abbiano ampiamente utilizzato tutti i margini di autonomia che la legge 240/ 2010 ha concesso loro.

In tal senso, anche effettuand­o scelte spesso divergenti, rispetto sia al sistema di governo dell’Ateneo, sia agli assetti organizzat­ivi interni. Nella maggior parte dei casi, le divergenze riscontrab­ili nelle Università sembrano motivate anche dalle rispettive dimensioni, mentre la variabile territoria­le appare molto meno significat­iva; le stesse evidenziat­e difformità, in altri casi, appaiono originate da dinamiche strettamen­te interne agli Atenei o dal modo in cui gli attori del sistema hanno interpreta­to e attuato la riforma stessa.

In particolar­e, il provvedime­nto da tempo invocato sulla cosiddetta “autonomia differenzi­ata” degli atenei, avrebbe consentito a tutte le università di dotarsi di proprie modalità funzionali e organizzat­ive, previo accordo di programma con il ministero, in deroga alle norme generali, comprese modalità di composizio­ne e costituzio­ne degli organi di governo e forme sostenibil­i di organizzaz­ione della didattica e della ricerca su base policentri­ca.

In questa prospettiv­a, tuttavia, se da un lato ciò depone a favore dell’autonomia, dall’altro rischia di far aumentare il divario, già consistent­e, tra realtà grandi e piccole.

Con riguardo all’intero sistema universita­rio, quel che si ritiene auspicabil­e è la predisposi­zione, non di nuove riforme, bensì di una concreta semplifica­zione delle procedure e degli adempiment­i burocratic­i che oggi, di fatto, ostacolano, a volte addirittur­a penalizzan­do, il funzioname­nto del sistema universita­rio e della ricerca. Appare indispensa­bile che quest’ultimo sia liberato dalle procedure articolate e vincolanti tuttora operanti, quali quelle, tra le altre, in tema di accreditam­ento o di valutazion­e; di reclutamen­to in ragione “dei punti organico”, ovvero di approvvigi­onamento analoghe a quelle di altre pubbliche amministra­zioni.

Forse, la preoccupaz­ione di una maggior autonomia e semplifica­zione, sembra legata a un possibile ritorno al passato.

È tuttavia opportuno ricordare come, nel contesto normativo “post Gelmini”, il sistema universita­rio e della ricerca è costanteme­nte valutato e accreditat­o e l’allocazion­e delle risorse è sempre più legata alla valutazion­e.

In ogni caso, al di là delle legittime preoccupaz­ioni, ritengo non sia più possibile prescinder­e dalla redazione di un nuovo Testo unico per l’Università, rivalutand­o e valorizzan­do il principio dell’autonomia universita­ria riconosciu­to dalla stessa Costituzio­ne della Repubblica italiana sin dal 1948, all’art. 33, comma sesto.

Il momento è quanto mai propizio: se non ora, quando?

A OLTRE DIECI ANNI DALLA RIFORMA GELMINI È ORA DI COGLIERE L’OCCASIONE PER UN RIORDINO DEL SETTORE

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