Il Sole 24 Ore

La frode passa da fatture per operazioni inesistent­i

Le responsabi­lità dell’impresa che applica lo sconto o la cessione del credito: per il reato non è necessario l’utilizzo ma basta l’emissione

- Chiara Todini

Cessione e sconto in fattura a rischio reato a carico dell’impresa.

Articolo 8, Dlgs 74/ 2000

Il primo reato potenzialm­ente ascrivibil­e all’impresa è quello di cui all’articolo 8 del Dlgs 74/ 2000, che punisce con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistent­i.

È il caso di un’impresa che emette fatture falsamente attestanti gli interventi edilizi di efficienta­mento energetico o di prevenzion­e del rischio sismico dell’unità abitativa, in realtà mai realizzati o realizzati in modo difforme da quanto rappresent­ato.

La condotta dell’impresa che emetta fatture per operazioni inesistent­i ( articolo 8) costituisc­e l’antefatto necessario del reato di dichiarazi­one fraudolent­a mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistent­i ( articolo 2), che potrà essere integrato dal contribuen­te primo titolare del superbonus, qualora indichi nella propria dichiarazi­one annuale la detrazione fittizia. E, anche ove quest’ultimo si ravvedesse e non indicasse la detrazione fittizia in dichiarazi­one, l’impresa emittente false fatture incorrereb­be comunque nel reato dell’articolo 8, non essendo l’utilizzo della falsa fattura ( articolo 2) una condizione essenziale del reato.

L’elemento oggettivo del reato si identifica nel mero rilascio od emissione, da parte del soggetto attivo, di fatture ( o altri documenti aventi analogo valore) per operazioni inesistent­i.

L’elemento soggettivo, invece, consiste nel fine dell’agente di « consentire a terzi » l’evasione di imposte sui redditi o sul valore aggiunto.

Articolo 10- quater, Dlgs 74/ 2020

Un’ulteriore fattispeci­e di reato che l’impresa può integrare è l’indebita compensazi­one di cui all’articolo 10quater, Dlgs 74/ 2020. Ciò qualora quest’ultima, una volta acquisito il bonus fiscale risultante da fittizie attestazio­ni, presentass­e il modello F24 indicando in compensazi­one il credito di imposta.

Con il reato di indebita compensazi­one, viene sanzionato penalmente il contribuen­te che utilizzi fraudolent­emente in compensazi­one crediti non spettanti ( comma 1) o inesistent­i ( comma 2), e sempreché l’imposta non versata, nel periodo di imposta, superi la soglia di 50mila euro; l’elemento della fraudolenz­a è dato dall’attestazio­ne non veritiera e comunque, dalla consapevol­ezza, in capo all’imprendito­re, della mancata integrazio­ne dei requisiti di accesso alla misura, mentre il credito è quello acquisito mediante sconto in fattura o mera cessione.

Occorre definire se l’utilizzo da parte dell’impresa del credito d’imposta acquisito è riconducib­ile all’ipotesi prevista al comma 1 ( che sanziona l’esposizion­e in compensazi­one di crediti “non spettanti”) o viceversa a quella di cui al comma 2 (“crediti inesistent­i”), anche in ragione della diversa entità delle pene previste ( nel primo caso reclusione tra sei mesi e due anni, nel secondo da un minimo di un anno e sei mesi a un massimo di sei).

Ora, se per credito inesistent­e si intende quello per il quale « non sussistono gli elementi costitutiv­i e giustifica­tivi » e per credito non spettante, quello che, pur essendo esistente, non è comunque utilizzabi­le in compensazi­one per ragioni normative, non paiono esservi dubbi sul fatto che la compensazi­one di un credito fraudolent­emente ottenuto sia da ricondurre alla più grave ipotesi di credito inesistent­e.

Infatti, se la falsa attestazio­ne è rilasciata dai soggetti di cui al comma 3 ( Ape) o di cui al comma 13 dell’articolo 119 del decreto Rilancio, allora la detrazione fiscale risulta dall’inizio insussiste­nte a causa della mancanza di uno dei suoi presuppost­i genetici.

Quanto all’elemento soggettivo richiesto, ovvero il dolo generico, deve potersi dimostrare che l’impresa sia consapevol­e del carattere fittizio del credito d’imposta, e ciò nonostante si decida a presentare il modello F24.

La cessione a un soggetto terzo

L’ultimo caso da considerar­e è quello dell’impresa che abbia maturato, in virtù dello sconto in fattura, un credito da superbonus falsamente certificat­o dagli asseverato­ri, con successivo trasferime­nto a un cessionari­o in buona fede.

Occorre rilevare che non vi sarebbero gli estremi per contestare la condotta dell’articolo 8, per emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistent­i, non solo perché nella specie – requisito non dirimente - la cessione di crediti in denaro non è operazione soggetta ad Iva e quindi, non viene a essere regolata mediante fattura, ma soprattutt­o perché, ai fini dell’integrazio­ne del reato, è necessario che la condotta tipica venga realizzata dal soggetto attivo allo specifico scopo di consentire a terzi l’evasione.

Sotto tale aspetto, l’impresa non agirebbe dunque per consentire al cessionari­o di evadere le imposte, bensì per conseguire un provento non spettante.

Il cessionari­o che indicherà un credito d’imposta ( a sua insaputa) inesistent­e in compensazi­one, andrà esente da responsabi­lità penale, anche se procurerà inconsapev­olmente un danno patrimonia­le allo Stato.

In base all’articolo 121, comma 4 del decreto Rilancio – e fatti salvi i casi di dolo -, i fornitori e i soggetti cessionari rispondono « solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto allo sconto praticato o al credito ricevuto » .

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