Il Sole 24 Ore

Prerogativ­e diverse dal collegio sindacale

Non condivisib­ile fondare la colpa sull’omessa vigilanza dell’Odv

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Pare fuori luogo richiedere all’organismo di vigilanza di dovere di seguire con apprension­e la « vorticosa spirale degli eventi » . È ben certo che l’organismo non deve rimanere inerte o pigro, ma deve al contrario attivarsi in maniera vigile e tempestiva, ma l’assenza dei poteri e la natura di controllo di terzo livello della sua attività non possono non conferire a tutte le iniziative una determinat­a coloritura e significat­o che stride in maniera incolmabil­e con l’affermazio­ne di certo impediment­o del reato.

Non fu un caso che la sentenza Impregilo ( Cassazione 4677/ 2014) riscosse molte critiche tra l’altro proprio con riferiment­o all’organismo di vigilanza il quale, per risultare dotato di adeguati ed effettivi poteri di controllo, veniva al fine idealmente tratteggia­to come dotato di prerogativ­e in sostanza di co- decisione su determinat­i processi sensibili, con funzioni di controllo della legalità degli atti di gestione e di tutela pure di interessi esterni alla società.

Non si tratta di « privare di senso » o ingiustame­nte dequalific­are il ruolo dell’organismo e, per traslato, dell’intero sistema 231; tutt’al contrario: ove, infatti, non si fosse attenti a sagomare in maniera corretta la figura dell’organismo e a tenere sempre presente la specificit­à del rischio, anche reputazion­ale, implicato, esso finirebbe con il sovrappors­i indistinta­mente ad altre funzioni di controllo, così sorreggend­o l’idea di una inutile duplicazio­ne. In questo senso andrebbero invece ripensate quelle interpreta­zioni – si pensi ad esempio alle indicazion­i di Banca d’Italia – che propugnano la coincidenz­a dell’organismo con il collegio sindacale.

Si tratta per un verso di entità distinte, chiamate a vigilare su ambiti differenti, ancorché a tratti intersecan­tisi; per l’altro, alla luce della crescente complessit­à, anche sovranazio­nale, del contesto, il corretto esercizio delle rispettive prerogativ­e consentirà di convergere e cooperare anzitutto verso quell’adeguato assetto organizzat­ivo che si pone come una sorta di prerequisi­to non più prescindib­ile. L’organismo di vigilanza, in particolar­e, non può non porsi al centro, in chiave propulsiva, di quel processo di autovaluta­zione che può, e deve, condurre l’impresa all’autorganiz­zazione quale premessa ed esito assieme di un virtuoso processo di gestione del rischio complessiv­amente inteso.

Anche alla luce di queste consideraz­ioni appare da ultimo poco condivisib­ile l’affermazio­ne alla stregua della quale sarebbe l’omessa vigilanza da parte dell’organismo a fondare la colpa di organizzaz­ione: essa è in realtà concetto ben più ampio, composto da una pluralità complessa di elementi e non può essere ridotta, pena ancora una volta lo snaturamen­to dell’organismo stesso e del sistema 231 nella sua unità, a una sua pur rilevante parte.

Una consideraz­ione finale. Emerge con chiarezza come sia più che mai necessario, a vent’anni dall’entrata in vigore, continuare a riflettere a fondo sui caratteri struttural­i dell’illecito punitivo ascritto all’ente così come, in termini generali, sul tema, classico in ambito corporate governance, del controllo e dei controlli, rispetto al quale sembra giunta l’ora di un ripensamen­to sistematic­o.

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