TASSI, PAROLE GIUSTE DALLA PERSONA SBAGLIATA
Janet Yellen, ministra dell’Economia degli Stati Uniti, ha ragione quando dice che occorre interrogarsi sul livello dei tassi di interesse nel suo Paese; sbaglia a dirlo in pubblico, perchè compie una invasione di campo che non fa bene a nessuno. Il tema è quello dell'eccesso di ambiguità della Fed, che però non può essere posto dal responsabile della politica fiscale. Altrimenti, l'ambiguità non si riduce, ma raddoppia.
È giusto accendere i riflettori sui tassi di interesse, perchè oggi la politica monetaria della Fed è caratterizzata da un livello di ambiguità incompatibile con quello che deve offrire una moderna banca centrale, tendendo comunque conto della straordinaria fase congiunturale rappresentata dalla uscita dalla recessione pandemica iniziata nello scorso anno.
Il momento macroeconomico è delicato. Lo si capisce subito confrontando la situazione attuale con gli interrogativi che, un anno fa, aprivano scenari inattesi ed incogniti. Le economie erano state colpite da una recessione “speciale”, sotto tre punti di vista. Lo shock negativo aveva una natura “non- economica” - una pandemia – che colpiva il sistema economico con tre modalità, simultanee ed intrecciate: un peggioramento delle attese, un deterioramento dal lato del mercato del lavoro e dell'offerta di beni e servizi, un congelamento della domanda aggregata. Infine, i responsabili della politica economica si trovavano di fronte un dilemma inedito, quello tra salute ed economia: occorreva disegnare politiche economiche che trovassero un ragionevole equilibrio, nell'affrontare l'emergenza pandemica, tra minizzare i costi umani da un lato e quelli economici dall'altro.
I banchieri centrali sono stati più fortunati. Per la politica monetaria non si è posto alcun dilemma: in assenza di tensioni inflazionistiche, l'azione doveva essere ultra- espansiva, per affiancare una politica fiscale altrettanto ultra- espansiva, fatta di sostegni diretti ed indiretti a famiglie ed imprese. I numeri parlano da soli. L'inflazione e le relative aspettative di inflazione sono rimaste molto contenute: i dati mondiali ci dicono che la crescita dei prezzi al consumo è sotto il rispettivo target nel 50% dei Paesi, mentre le aspettative lo sono nel 70% dei Paesi. In parallelo, i tassi di interesse nominali sono vicino allo zero nel 35% dei Paesi.
Ma ora si vede la luce in fondo al tunnel. Quindi anche le banche centrali devono dare il loro contribuito ad aumentare le informazioni, per aiutare famiglie, imprese e mercati a meglio programmare le loro scelte. L'efficacia della politica monetaria dipende dalla qualità delle informazioni offerta. Sotto questo aspetto, la Fed può molto migliorare. In coerenza con il suo mandato, la Fed dovrebbe indicare i suoi obiettivi in termini di occupazione e di inflazione; oggi non è dato di sapere né il primo né il secondo. Conoscendo gli obiettivi,
Janet Yellen ha ragione sui tassi Usa, ma compie una invasione di campo che non fa bene a nessuno
anche uno strumento diventato importante nella azione di politica monetaria – gli annunzi vincolanti – assumono una maggiore credibilità. Ma se gli obiettivi sono ambigui, anche gli strumenti diventono meno efficaci. L'ambiguità non fa bene in generale all'economia, e, nel caso della politica monetaria, nello specifico alla dinamica dei tassi di interesse. Quindi è un bene che si accendano i riflettori sui tassi di interesse, e quindi sulle responsabilità della Fed. È però un male che lo faccia la ministra dell'Economia. Janet Yellen si deve occupare di dimensione e qualità della spesa pubblica, ma anche dell'evoluzione attesa del debito pubblico americano. Anche qui i dati mondiali parlano chiaro: lo stock del debito ha superato i livelli raggiunti dopo la Seconda Guerra Mondiale. Invadere il perimetro della politica monetaria non chiarisce nulla, ma aumenta l'incertezza, come il termometro dei mercati finanziari ha subito segnalato. Se le parole giuste vengono dette dalle persone sbagliate, l'uscita dal tunnel può essere più lontana, o più traumatica.