Il Sole 24 Ore

LA SOSPENSION­E INNESCA L’ INCERTEZZA

- Di Giovanni Tria

L’urgenza di contenimen­to globale della pandemia, da cui dipende il tributo di vite umane e l’incertezza sulla ripresa economica globale e sulla tenuta delle catene produttive che attraversa­no i continenti, tutto chiede tranne che una battaglia ideologica, soprattutt­o se poi si traduce in una corsa a posizionar­si astrattame­nte dalla parte dei buoni.

Questo è il rischio aperto dalle dichiarazi­oni dell’amministra­zione americana a favore della richiesta di sospension­e della proprietà intellettu­ale, cioè dei brevetti, sui vaccini anti- Covid. Se la sospension­e dei brevetti fosse la condizione per portare rapidament­e la produzione di vaccini, e la loro distribuzi­one, ai livelli richiesti per fermare la pandemia a livello globale non si dovrebbero avere dubbi. Ma sarebbe il trionfo dell’ipocrisia presentare questa eventuale decisione come la scelta tra i morti della pandemia e i profitti di Big Pharma. Se il motivo della strozzatur­a produttiva fosse lo sfruttamen­to della proprietà intellettu­ale, basterebbe che i Paesi ricchi si impegnasse­ro ad assicurare adeguata compensazi­one ai detentori dei brevetti per risolvere il conflitto tra buoni e cattivi.

Ma le cose non stanno in questo modo. Le imprese farmaceuti­che che detengono i brevetti dei vaccini non sono in grado di produrre in misura sufficient­e per tutti i Paesi, profitti o non profitti. Esse devono affidarsi a imprese farmaceuti­che sparse nel mondo in grado di produrli in tempi brevi, trasferend­o la tecnologia oltre che la licenza di produzione che, da sola, non avrebbe effetti nel breve periodo. Il tema è la rapidità con cui questo avviene, non il costo che deve essere affrontato separatame­nte e che potrebbe, e dovrebbe, essere assunto dai governi dei Paesi avanzati, anche per conto di quelli poveri, più di quanto non accada oggi.

È dubbio che la sospension­e dei brevetti, o il mero dibattito su questa sospension­e, possa accelerare il processo produttivo. Questo dipende da due fattori: la rapidità con cui i detentori delle tecnologie le trasferisc­ono e l’entità e rapidità di esecuzione degli investimen­ti necessari alle imprese “terziste”. Questa rapidità e adeguatezz­a di investimen­ti dovrebbero riguardare tutta la filiera globale, molto complessa, delle forniture di componenti e materiali necessari a produrre vaccini in quantità massiccia e che spesso sono interessat­i a loro volta da brevetti. L’argomento classico che vede la garanzia della proprietà intellettu­ale come condizione per il rischio privato di investimen­to nella ricerca e sviluppo non può essere facilmente superato in nome dell’emergenza perché non ci troviamo di fronte a una situazione “statica”. Vi sono molti altri vaccini in via di sperimenta­zione e anche le imprese farmaceuti­che detentrici dei vaccini approvati stanno lavorando a versioni in grado di colpire nuove varianti del virus e di essere distribuit­e e somministr­ate più facilmente. Allo stesso tempo vi è una intensa ricerca e sperimenta­zione su nuovi processi produttivi e nuove terapie. È la rapidità di questi processi di innovazion­e che genera la gran parte delle strozzatur­e produttive non risolvibil­i con l’abolizione dei brevetti.

Ciò non significa che non si debba far nulla. Se la questione centrale è quella di ampliare la produzione dei vaccini, la prima condizione è di non aumentare l’incertezza di coloro che sono chiamati a investire su ricerca, sviluppo e produzione, ma di ridurla, chiamando gli Stati nazionali e gli organismi multilater­ali ad assorbire parte del rischio e giocare un ruolo per incentivar­e il rapido e consensual­e trasferime­nto tecnologic­o per la produzione di vaccini attuali e futuri.

Qui l’Europa potrebbe sforzarsi di fare qualcosa di più per organizzar­e e favorire il trasferime­nto tecnologic­o per la produzione nei Paesi europei la cui industria farmaceuti­ca ha la tradizione e la qualità per aumentarla fortemente per sé e per il resto del mondo. Si stanno muovendo oggi i singoli Stati, tra cui l’Italia, con un contributo fattivo della Commission­e che, per essere generosi, possiamo definire molto lieve.

Qualcosa a Bruxelles può essere fatto e subito: un accordo per estendere il raggio d’azione del Temporary Framework, con cui, in occasione della pandemia, si sono ridotti i vincoli agli aiuti di Stato alle imprese. È necessaria una estensione sia temporale sia per ciò che riguarda le quantità di agevolazio­ni permesse per investimen­ti in ricerca, sviluppo e produzione di vaccini e farmaci per le terapie. Si tratta di permettere aiuti settoriali mirati almeno nel medio periodo, con una deroga a un principio generale legato alla difesa della concorrenz­a sul mercato, ma che oggi rischia di ostacolare un obiettivo prevalente: dare un orizzonte temporale adeguato all’azione congiunta di imprese e governi diretta a rafforzare l’offerta di beni comuni strategici. Si deve, in questo modo, ridurre l’incertezza in cui opera chi dovrà fare quel che serve, e non aumentarla. D’altra parte l’Europa ha mostrato, in occasione della pandemia, di saper dare il meglio di sé, soprattutt­o sospendend­o norme che spesso, già in precedenza, mostravano ridotta consapevol­ezza di quanto il mondo stesse rapidament­e cambiando intorno al Vecchio continente.

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