Migliaia di materiali e centinaia di fornitori per arrivare alla fiala
Nel sito Pfizer in Belgio i componenti giungono da 86 fabbriche di 19 Paesi
Ciò che vediamo, alla fine, è solo una siringa contenente il vaccino per Covid- 19 pronto per essere iniettato. O magari la nostra conoscenza inizia quando osserviamo le immagini degli stock di grandi contenitori che sbarcano da un camion. In realtà, la catena del valore che sta alla base di questo strumento fondamentale di protezione dal virus Sars- CoV- 2 inizia da molto lontano, coinvolgendo mezzo mondo. Perché per fare un vaccino occorrono, oltre a tecnologie sofisticate, competenze di altissimo livello e soprattutto una rete di interpreti che, per il loro tassello, contribuiscono a creare il prodotto finale.
Basta vedere le cifre di uno dei quattro siti produttivi di Pfizer, quello di Puurs in Belgio, dove nasce un vaccino a mRNA. Il “puzzle” nasce grazie al lavoro di oltre 280 materiali, forniti da 86 siti di 19 diversi Paesi, per arrivare alle circa 10- 15 materie prime che sono fondamentali per produrre il vaccino e giungere fino ai più di 40 test di controllo qualità che vengono effettuati su ogni lotto finito. Grazie a questa combinazione di componenti, tutti monitorati dalle Agenzie Regolatorie, si arriva poi al prodotto finito. Solo qualche mese fa il Wto, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, ha riassunto in un documento cifre molto simili, riportando la stima della Federazione Internazionale dei Produttori e delle Associazioni Farmaceutiche.
Un impianto tipo per la produzione dei vaccini può utilizzare addirittura migliaia di materiali diversi che giungono da circa 300 fornitori di una trentina di nazioni. Il tutto, ovviamente, senza dimenticare il capitale umano, basilare in termini di competenze e non solo di tecnologia. Solo pochi giorni fa, come riportano alcuni quotidiani elvetici, il sito di produzione di Lonza per Moderna di Visp in Svizzera ha lamentato la difficoltà di individuare figure professionali per la sua attività.
Tornando al vaccino, quelli disponibili sono a RNA- messaggero e a vettore virale, oltre a questi due meccanismi che debbono indurre la risposta del sistema immunitario scatenando la produzione di anticorpi specifici nei confronti di Sars- CoV- 2, ovviamente ha altri componenti che debbono essere assemblati. Ad esempio, la molecola di RNA- messaggero che ha il compito di “insegnare” al sistema difensivo a rispondere deve essere inglobata in specifici “contenitori” invisibili, ovvero liposomi, particelle lipidiche molto piccole. Poi occorre ricordare che oltre all’acqua sono necessari ingredienti inattivi, altre materie prime, ad esempio sotto forma di molecole di lipidi, aminoacidi o sali minerali. Il sito di produzione del vaccino, quindi, diventa una sorta di “aggregatore” di componenti diverse, tutte ipercontrollate, che vanno a configurare il mosaico finale.
Competenze professionali e controlli di qualità rendono possibile il complicato processo
La situazione non cambia se si considerano i preparati a vettore virale, in cui un altro virus fa il “trasportatore” delle componenti di Sars- CoV- 2 ( i cosiddetti antigeni) verso cui si vuole stimolare la risposta difensiva. Nel caso di Astra- Zeneca il vaccino è composto da un adenovirus di scimpanzé incapace di replicarsi ma modificato per trasportare le informazioni genetiche destinate a produrre la proteina Spike del virus Sars- CoV- 2, e ovviamente c’è la necessità di eccipienti per assicurare la stabilità e la sicurezza del preparato. Stessa strategia per il vaccino di Johnson & Johnson: in questo caso si utilizza un altro adenovirus modificato che codifica per la proteina spike di SarsCoV- 2, con ingredienti aggiuntivi.
Poi inizia il viaggio del vaccino verso l’utenza: entra in gioco il valore della logistica e della distribuzione, con specifica attenzione al mantenimento della catena del freddo in base alle necessità del singolo vaccino, in un percorso monitorato attimo per attimo perché l’obiettivo, oltre all’efficacia, è la sicurezza.