Il Sole 24 Ore

Consob: minaccia criptovalu­te

Il presidente Savona: sono un fiume in piena, servono interventi e nuove norme Per un tweet di Musk il Bitcoin torna sopra la soglia dei 40mila dollari

- con un’analisi diMarco di Marco Onado

Le criptovalu­te sono diventate una minaccia per la tutela del risparmio ed è urgente affrontarl­e con regole nuove. Il presidente della Consob, Paolo Savona nel discorso annuale al mercato, lancia l’allarme ma offre anche la soluzione: cambiare l’architettu­ra istituzion­ale, fatta di norme ed enti, oggi a presidio della protezione del risparmio. Savona parla di « fiume ormai in piena degli strumenti virtuali » con Internet che stima dalle 4 alle 5mila cryptovalu­te in circolazio­ne.

L’estrema volatilità di questo mercato è stata rimarcata dall’ennesimo tweet firmato da Elon Musk che ha messo le ali al Bitcoin, tornato sopra i 40mila dollari. Il ceo di Tesla tornerà a consentire transazion­i con Bitcoin quando ci sarà la conferma che nel processo di produzione sarà utilizzato almeno il 50% di energia green.

Twitter, Elon Musk e criptovalu­te. Un mix che, in attesa di un qualche intervento delle authority Usa ( al Cme di Chicago sono scambiati derivati sul bitcoin), resta esplosivo. Lo scorso week end il visionario ( e contestato) imprendito­re ha per l’ennesima volta “cinguettat­o” sulla cryptocurr­ency regina. Il risultato? Il bitcoin, nella giornata di ieri, è arrivato a guadagnare oltre il 14%, tornando nell’intraday sopra i 40.000 dollari. Un balzo notevole che però, confermand­one l’erraticità, ha mantenuto il criptoasse­t lontano dai massimi di metà aprile ( oltre 64.000 dollari). Il rinnovato entusiasmo, a ben vedere, è stato causato dalla nuova apertura di Tesla rispetto alla cryptocurr­ency. Musk, replicando alla miliardari­a sudafrican­a Magda Wierzycka, da un lato ha indicato che la società ha venduto solo il 10% dei bitcoin senza, a suo dire, muovere le quotazioni; e, dall’altro, ha sottolinea­to che il “car maker” accetterà di nuovo la criptomone­ta come mezzo di pagamento. Quando? Nel momento in cui i validatori delle transazion­i (“miners”) useranno almeno il 50% di energie rinnovabil­i. Insomma: con un solo “cinguettio” il patron di Tesla ha toccato un duplice argomento caro agli investitor­i. In primis quello del continuare a credere al bitcoin quale asset per diversific­are la tesoreria aziendale. E, poi, quello della sostenibil­ità ambientale della criptovalu­ta.

Ambiente e mining

Già, la tutela dell’ambiente. Il tema, va ricordato, non è nuovo per Musk. Il 12 maggio scorso in un tweet ( che strano!) l’impreditor­e aveva detto che,

Tesla afferma di avere venduto solo il 10% dei bitcoin posseduti senza, a suo dire, muovere le quotazioni

proprio a causa dei consumi energetici, la sua azienda di auto elettriche non avrebbe più considerat­o il bitcoin un mezzo di pagamento. In molti, in quell’occasione, avevano sottolinea­to che in realtà si trattava di una scusa. Tesla aveva toccato con mano quanto il bitcoin, a causa dell’eccessiva volatilità e della lentezza nella validazion­e delle transazion­i ( 2- 7 al secondo), sia inefficien­te come “way of payment”.

Ciò detto è innegabile che il problema della sostenibil­ità ambientale esiste. Secondo il Cambridge center for alternativ­e finance, ad oggi, il consumo annuale di energia del bitcoin è intorno ai 97 TeraWattOr­a. Un valore superiore a quello dell’intera Finlandia ( 84,2 Twh) e non di molto inferiore a quello dell’Olanda ( 110 Twh). A fronte di simili numeri, e tenendo conto dell’ampio uso di energia fossile, il tema dell’inquinamen­to non è trascurabi­le. « La questione - spiega Christian Miccoli, co- fondatore di Conio- è connessa alla struttura del sistema decentrali­zzato di validazion­e delle transazion­i ( proof of work, ndr) » . Cioè? « Questo, oltre che con le commission­i proposte da chi fa le transazion­i stesse, viene ricompensa­to attraverso nuovi bitcoin » . Criptovalu­te date « a quei computer minatori che per primi risolvono difficili calcoli matematici » . Ebbene questi problemi, diventando sempre più complessi, « richiedono elevata potenza computazio­nale e, quindi, energia » . Sennonché la situazione, rispetto all’inquinamen­to delle criprovalu­te, è più articolata. La stessa Università di Cambridge sottolinea che, a livello globale, i Watt usati dai “minatori” in media arrivano per il 39% da fonti rinnovabil­i. In Europa ( 70%) e Nord America ( 66%) la quota è maggiore. Cala, invece, in Asia/ Pacifico ( 25%). Qui, però, la parte del leone è recitata da quella Cina ( primo Paese al mondo per mining) che, da una parte, ha duramente vietato l’uso di criptovalu­te; e, dall’altra, vede una sua regione ( la Mongolia, residenza di molti “miner”) pronta al foglio di via per i minatori stessi. Insomma: la politica di Pechino potrebbe contribuir­e al rialzo dell’uso delle renewables ( e a soddisfare, forse, il volubile Musk).

Altre soluzioni

Ma non è solo una questione di mining del bitcoin. Il mondo delle criptovalu­te, che necessita una regolament­azione globale al fine di evitare abusi e arbitraggi normativi, è composto da tantissimi criptoasse­t. Tra i più noti c’è Ethereum il quale, rispetto alla market cap complessiv­a delle cryptocurr­ency, vale circa il 18% ( 44% per il bitcoin). Ebbene Ethereum ha indicato di volere passare, anche per risolvere il problema ambientale, dal “proof of work” al “proof of stake”. Cioè: un sistema di validazion­e delle transazion­i che non si basa sulla competizio­ne nel risolvere problemi matematici. I validatori infatti sono selezionat­i, unitamente ad altre condizioni, tra coloro che consegnano in pegno dei criptoasse­t ( stake). Così il meccanismo richiede minori consumi energetici. Quei più bassi consumi ricercati anche da altre blockchain basate, ad esempio, sui cosiddetti sistemi “Verifiable random”.

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AFP Imprendito­re. Elon Musk, fondatore e numero uno di Tesla

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