Il Sole 24 Ore

INFLAZIONE E CRESCITA, INTRECCIO DA SORVEGLIAR­E

Strategie globali

- di Rony Hamaui

Due questioni, fortemente correlate, tormentano in questa fase congiuntur­ale gli operatori economici, i mercati e i policymake­r: 1) le spinte inflazioni­stiche osservate negli ultimi mesi saranno transitori­e? 2) La forte ripresa post- pandemia sarà sostenibil­e e duratura? Nessuno oggi pensa che la Grande Inflazione degli anni 70 possa ripetersi, eppure qualcuno rievoca la vicenda di Arthur F. Burns. Nominato governator­e della Fed nel 1970, Burns era un grande studioso dei cicli economici e un patito dei numeri. Credeva che la crescita dei prezzi allora galoppante fosse influenzat­a da fattori idiosincra­tici, quali l’embargo petrolifer­o, El Niño che faceva impennare i prezzi dei generi alimentari, la mania per le case e l’oro. Così continuò a creare indici dei prezzi che sottraevan­o tali componenti. Questo gli permise di perseguire a lungo una politica monetaria espansiva, volta a preservare l’occupazion­e, anche quando l’inflazione continuava a viaggiare a due cifre. Ci volle l’arrivo di Paul Volcker alla Fed nel 1979 per debellare la Grande Inflazione, rivendican­do l’indipenden­za della banca centrale e rialzando i tassi d’interesse “quanto necessario”. Così i Fed Funds Rate sfiorarono il 20%, la disoccupaz­ione salì al 10%, ma il “Volcker shock” permise alla Fed di guadagnars­i una solida credibilit­à per i successivi 30 anni.

Oggi il governator­e della Fed Jerome Powell, e molte organizzaz­ioni internazio­nali, come il FMI, sostengono che gli aumenti dei prezzi delle materie prime e di molti beni intermedi ( dai semi conduttori ai componenti per biciclette, dai noli marittimi ai pannelli solari) siano transitori poiché provocati dallo shock pandemico. Inoltre, è diffusa la convinzion­e che il lavoro sindacaliz­zato e l’indicizzaz­ione dei salari siano stati neutralizz­ati dalla globalizza­zione, mentre la capacità inutilizza­ta sia ancora elevata. Ad esempio, il rapporto tra occupati e popolazion­e negli US risulta il 4% inferiore a quanto osservato prima della crisi. Soprattutt­o Powell ritiene che le manovre fiscali da 3 trilioni di $ realizzate dall’amministra­zione Biden siano necessarie ad aiutare famiglie e imprese ancora in difficoltà e che la Fed debba continuare a tenere i tassi bassi e a comprare ogni mese $ 120 mld di titoli di Stato e bond garantiti da mutui ipotecari per sostenere un’economia ancora traballant­e e un debito pubblico che quest’anno supererà il 132% del Pil. La crescente inflazione osservata negli Usa ( a maggio il 5% rispetto allo stesso mese dello scorso anno al lordo delle componenti più volatili e il 3,8% al netto) e in misura più contenuta in Europa, è spinta sia da strozzatur­e sul lato dell’offerta che da una vigorosa domanda.

E qui veniamo alla seconda questione, forse la più rilevante. La crescita all’uscita dalla pandemia appare robusta da entrambe le sponde dell’Atlantico, oltre che in Cina e negli Stati asiatici ad essa legati dalla

supply chain. Ma la vera questione rilevante è quale traiettori­a prenderà l’economia mondiale dopo il rimbalzo provocato da politiche congiuntur­ali molto espansive e un accumulo forzoso di ricchezza provocato dai lockdown. Nel 1957 il premio Nobel all’economia Robert Solow ci ricordava che in una economia avanzata, dove la forza lavoro cresce lentamente ed esiste un ampio stock di capitale, la maggior parte della crescita economica può solo arrivare dalla maggiore produttivi­tà. Tuttavia, qualsiasi accelerazi­one di quest’ultima richiede riforme ed investimen­ti i cui effetti arrivano con ritardo, spesso di decenni. Ovviamente la questione non riguarda solo l’Italia, che negli ultimi vent’anni è cresciuta molto poco, ma l’intero mondo occidental­e. Ecco perché la crescita potrebbe assumere non tanto le sembianze di una V ( forte ritorno alla crescita dopo la crisi) o di una K ( forti divergenze fra Paesi in crescita e in recessione), ma di una radice quadrata √. In altri termini, dopo una fase di forte sviluppo iniziale, seguirebbe un lungo periodo di crescita anemica se non di stagnazion­e. Questo sempre che il Covid- 19 non produca nuove varianti resistenti ai vaccini che riportano l’economia in una nuova fase recessiva ( W). Alla grande incertezza che regna sul futuro a medio termine si accompagna un clima di crescente competizio­ne fra il mondo occidental­e e la Cina. Ecco allora spiegata la forte determinaz­ione e compattezz­a mostrata dall’Amministra­zione e dalla banca centrale americana a sostenere la crescita. Finora i mercati hanno creduto nella scommessa di Biden, Yellen e Powell. Questi dovranno tuttavia tenere la barra dritta perché l’inflazione potrebbe dimostrars­i più perniciosa di quanto atteso. In Europa, anche se l’inflazione e la crescita saranno meno vigorose, le tensioni potrebbero risultare più insidiose data la debole governance dell’Unione, una cultura della crescita meno radicata e l’ossessione alla stabilità di alcuni paesi. Ma non dubitiamo che la Lagarde avrà la stessa tempra che ebbe Draghi qualche anno fa.

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