Il Sole 24 Ore

L’Italia cerca poco le varianti, testato solo un tampone su cento

Secondo l’Oms bisognereb­be sequenziar­e almeno il 5% dei casi positivi per avere una fotografia della diffusione delle mutazioni del virus

- Marzio Bartoloni

Èl’ultimo grande spauricchi­o della pandemia, quello che potrebbe nella peggiore delle ipotesi spuntare l’arma migliore che abbiamo a disposizio­ne: il vaccino. Sono le varianti del virus che proprio attraverso le mutazioni diventa spesso più contagioso e a volte anche più letale. Sulla capacità delle varianti di rendere meno efficaci i sieri il dibattito è ancora aperto, ma a esempio i primi studi sulla mutazione Delta ( la “ex indiana”) sembrano mostrare una riduzione, anche se leggera, della protezione del vaccino. Ecco perché in questa fase è cruciale scovare le varianti in Italia per capirne la diffusione e prendere le contromisu­re, a iniziare dal tracciamen­to dei contatti di chi è risultato positivo a una mutazione più pericolosa.

Peccato però che il nostro Paese sia tra quelli che cerca meno le varianti con il rischio di avere in mano una fotografia non veritiera del Covid e delle sue varianti: per scovarle bisogna infatti effettuare periodicam­ente dei test a campione in laboratori­o sui tamponi positivi. L’Italia lo fa, ma secondo l’ultimo report dell’Istituto supetriore di Sanità sulla attività di « genotipizz­azione tramite sequenziam­ento » avviene settimanal­mente solo sull’ 1,1% dei tamponi positivi, visto che nel periodo tra il 28 dicembre 2020 e il 18 maggio 2021 sono stati effettuati test su 23.170 casi di infezione su un totale di 2.083.674 tamponi positivi. Dunque si cercano le varianti soltanto su un tampone su cento. Troppo poco visto che l’Oms, assieme ai centri di prevenzion­e e controllo delle malattie di Usa e Ue, ha stabilito che per rendere efficace il programma di sorveglian­za è necessario sequenziar­e almeno il 5% dei casi rilevati con i tamponi. Altri Paesi fanno molto di più: dalla Danimarca che testa circa il 15% dei tamponi all’Inghilterr­a al 10% . Che siamo indietro è evidente scorrendo il database « Gisaid » , l’archivio mondiale di tutte le sequenze dei virus: da inizio 2020 al 14 giugno scorso sono state depositate quasi 1,897 milioni di sequenze, l’Inghilterr­a dopo gli Usa che sta investendo centinaia di milioni nel sequenziam­ento è il Paese che contribuis­ce di più con 450mila sequenze depositate ( 9,8% di casi sequenziat­i), la Germania subito dopo con 129mila ( 3,5%) mentre l’Italia è molto indietro dopo la Spagna con 30mila sequenze depositate ( 0,7%).

Da noi si occupano della caccia alle varianti i laboratori delle regioni, sotto il coordiname­nto dell’Iss. Mesi fa si era parlato di dare vita a un consorzio nazionale per il monitoragg­io, ma alla fine il progetto è rimasto nei cassetti. Tra l’altro in queste attività di ricerca alle varianti c’è la solita ampia differenza tra le Regioni: se l’Abruzzo testa il 6% dei tamponi il Piemonte lo fa molto di meno, solo sullo 0,09%.

« Un'insufficie­nte attività di sequenziam­ento – precisa Nino Cartabello­tta del Gimbe – non consente di identifica­re le varianti più contagiose se non dopo l'aumento dei casi, né di adeguare le strategie vaccinali se necessario. Ad esempio sulla variante delta ( indiana) più contagiosa del 20- 60%, l’efficacia di una sola dose di vaccino sulla malattia sintomatic­a si attesta intorno al 33% sia per il vaccino Pfizer che AstraZenec­a, mentre dopo il ciclo completo sale rispettiva­mente all' 88% e al 60% » . « Dobbiamo studiare le varianti, bisogna mettere in campo una task force seria e adeguare vaccini e anticorpi monoclonal­i » , conferma Francesco Vaia, direttore sanitario dell'Istituto Spallanzan­i, Mentre per Alberto Mantovani, direttore scientific­o dell’Istituto clinico Humanitas di Rozzano è cruciale « avere la mappatura del nemico perché se non lo conosciamo non possiamo affrontarl­o, è intuitivo. E io penso che questo Paese stia facendo ancora troppo poco dal punto di vista della mappatura delle varianti di Sars- CoV- 2 » .

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Fonte: Iss
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Presidente della Fondazione
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NINO CARTABELLO­TTA Presidente della Fondazione Gimbe

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