Banche, Italia campionessa sui costi: in cinque anni la sforbiciata arriva al 10%
Kearney: per gli istituti domestici sforzo superiore di 10 volte ai rivali europei Allarme sui ricavi: dal 2016 perso il 15% per cliente, contro una media Ue del 5%
Le banche retail italiane? Molto attente ai costi, campo dove hanno corso dieci volte più velocemente dei competitor europeei. Ma anche obbligate a premere l’acceleratore sul fronte dei ricavi, e puntare in particolare su formule consulenziali, per recupere il terreno perduto con il resto d’Europa.
Il lavoro su costi
È una fotografia in chiaroscuro, quella che sulle banche domestiche fornisce Kearney, che ogni anno con il suo Banking radar analizza i conti di oltre 100 banche retail europee. Dal 2016 a oggi i maggiori istituti domestici hanno fatto passi da gigante sugli oneri operativi. Secondo i calcoli della società, il campione formato da Intesa Sanpaolo, UniCredit, l’ex Ubi, BancoBpm, Bper, Mps e Creval, negli ultimi cinque anni ha ridotto di circa il 10% la base dei costi operativi: un taglio dieci volte superiore a quello europeo, dove il calo è stato pressoché minimo (- 1%). Il risparmio, va detto, non è stato indolore per le banche con la migliore riduzione dei costi operativi, perché è stato generato in particolare da una forte riduzione della forza lavoro, che si è ridotta del 25% nel quinquennio, mossa a cui si è aggiunta un’altrettanto massiccia sforbiciata delle filiali di oltre il 30 per cento. Una dinamica che si associa, peraltro, alla drastica riduzione degli istituti stessi, crollati da 463 a 149 tra il 2020 e il 20616 ( dati Bankitalia), tra fusioni e riforma Bcc.
La buona notizia è che l’ottimizzazione lato costi ha permesso di compensare almeno in parte il drastico calo dei ricavi, anche se non abbastanza da ridurre il rapporto tra costi e ricavi, passato dal 65% del 2016 al 67% del 2020. « Le banche italiane insieme alle spagnole sono tra quelle che hanno fatto più lavoro sul fronte dei costi operativi – commenta Roberto Freddi, associate partner di Kearney – ma continuano a soffrire sui ricavi: il retail rimane sempre sotto pressione per colpa di business mix che deve cambiare pelle » .
Le zavorre sui ricavi
A zavorrare gli introiti sono stati i tassi rasoterra. Dal 2016 l’Italia ha visto una riduzione del margine di interesse del 25% contro il - 5% della media Ue, e allo stesso tempo un calo più contenuto (- 2%) della componente commissionale su prodotti/ servizi, quando nel resto dell’Europa si è invece assistito invece a un incremento (+ 7%). « Sul wealth management le nostre banche sono riuscite a difendersi anche grazie a un pricing mediamente più alto della media europea » , spiega Ettore Pastore, partner Kearney. Diversamente, il margine di interesse ha subìto maggiormente il contraccolpo, oltre che per colpa dei tassi, anche per « l’andamento calante dei volumi e per il differenziale di pricing sui prodotti, su cui si fa sentire la concorrenza di operatori non bancari appartenenti al mondo del fintech e dello shadow banking, in particolare nel segmento Pmi » , aggiunge Pastore. Un fronte, quest’ultimo, che « sarà sempre più un banco di prova per le banche tradizionali » . L’effetto finale è che nel quinquennio le banche retail italiane hanno perso il 15% dei ricavi per cliente contro il - 5% a livello europeo.
Le possibili strade
Lo scenario, insomma, è sfidante. Ma come si può agire per invertire la rotta? Sul fronte dei costi, per tutto il mondo del credito l’efficientamento rimane il mantra, con stime di almeno 35- 45 miliardi di risparmi necessari nei prossimi 3- 5 anni a livello europeo. Ma in Italia alle banche retail spetta forse uno sforzo in più, con una « revisione radicale del modello operativo ripartendo dal cliente – aggiunge Freddi – E poi serve ripensare al mix di canali, rivedendo il ruolo degli sportelli e aprendo alle partnership, nonché a strategie più spinte di open banking » .
Diversa la possibile ricetta sul fronte dei ricavi. Nel breve periodo una possibilità di ripresa del margine commissionale c’è ed è rappresentata da wealth e asset management: la
Ulteriore spinta dalla razionalizzazione del settore: in quattro anni gli istituti italiani sono crollati da 463 a 149
grande massa di liquidità parcheggiata sui conti correnti, in assenza di scossoni sui mercati, potrebbe confluire su forme di investimento più redditizie per banche e clienti. Ma « nel medio lungo – ragiona Pastore - questi ricavi dovranno essere generati sempre più da formule consulenziali, piuttosto che dalla sola gestione del risparmio » . Altra area di potenziale crescita, infine, è quella legata all’assicurazione danni: un fronte su cui « si è mossa in primis Intesa Sanpaolo ma su cui anche le altre seguiranno, soprattutto nella parte protezione » .