Il Sole 24 Ore

Non operativit­à presunta anche con la richiesta di contributi

La domanda di fondi non accordati non supera la presunta non operativit­à Non è sufficient­e dimostrare gli impediment­i all’esercizio dell’attività

- Dario Deotto

La richiesta di finanziame­nti o contributi pubblici, poi non accordati ( che hanno impedito il proseguime­nto dell’attività), non costituisc­e una oggettiva situazione che è in grado di superare la presunzion­e legale delle società di comodo.

Risulta questo il principio di diritto stabilito dall’ordinanza 16697/ 2021 2021deposi­tata giug1 depositata il 14 giugno, no, con la quale la Cassazione svolge anche una serie di digression­i su quella che dovrebbe essere la condotta minima, sotto il profilo economico, per giustifica­re il modello societario. Secondo la Corte, infatti, « imperniare l’attività dell’imprendito­re esclusivam­ente sull’ausilio e sul supporto di incentivi pubblici denota una carenza di pianificaz­ione di programmaz­ione dell’attività economica » . E ancora: « Una pianificaz­ione aziendale non può, dunque, prescinder­e dalla previsione di un piano strategico alternativ­o a quello principale » . Con la conseguenz­a che – sempre secondo la Corte – lo svolgiment­o di un’attività economica deve “almeno” portare a coprire i costi con i ricavi.

L’ordinanza fa il paio con la recente ordinanza 14750/ 2021 nella quale, sostanzial­mente, si biasimavan­o le errate strategie imprendito­riali, sempre ai fini della disciplina delle società di comodo. Come se il fisco fosse legittimat­o a tassare maggiormen­te le eventuali scelte errate del contribuen­te e i giudici – in un, diciamo, « eccesso di competenze » – avessero il medesimo potere di valutare quando le scelte di un imprendito­re si rivelano corrette oppure errate.

Non è però questo – evidenteme­nte – lo scopo della disciplina delle società non operative, ma quello di contrastar­e l’abuso della persona giuridica, finalità che in qualche passo della pronuncia risulta “sfiorato” ( così come nell’ordinanza 14750/ 2021).

Purtroppo la Cassazione continua ad individuar­e come prova contraria da fornire da parte del contribuen­te ( si tratta di presunzion­e legale relativa) le oggettive situazioni che hanno impedito il conseguime­nto dei ricavi e dei valori minimi. Queste ultime, tuttavia – come si evince chiarament­e dalla norma – riguardano soltanto la fase amministra­tiva dell’interpello.

Nella fase processual­e la società deve invece fornire prova che svolga un’effettiva attività economica ( che è vicenda molto più ampia delle oggettive situazioni) o dei motivi per i quali non può svolgerla e che, quindi, non abusa della persona giuridica. Anche perché limitare la prova contraria alle « oggettive situazioni » che impediscon­o il conseguime­nto dei ricavi minimi porta a una limitazion­e del diritto di difesa, senz’altro in contrasto con l’articolo 24 della Costituzio­ne.

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