Il Sole 24 Ore

LINGUAGGIO SEMPLICE PER RISULTATI PIÙ CONDIVISI

- di Natalino Irti

Si annuncia una stagione di intensa fecondità normativa. La fabbrica delle leggi è già pronta. I piani economici, fruitori di danaro europeo, non si attuano da soli, ma esigono almeno due categorie di norme: norme di struttura, che istituisca­no nuovi organi od enti; norme di funzioname­nto, da cui derivino poteri di decisione ed azione.

Sempre i fenomeni giuridici si lasciano riguardare sotto i profili della struttura ( come è fatto) e della funzione ( a che cosa serve). L’una è mezzo per l’altra: questa è la razionalit­à insita in norme, che vengano emanate con lucida consapevol­ezza.

L’arte del legiferare né si insegna né si impara in alcuna scuola del mondo.

È privilegio dei veri talenti politici, capaci di largo orizzonte e di limpidi disegni per il futuro. Essi sanno tenersi al riparo da rischî, che l’esperienza storica è venuta maturando nel corso dei secoli.

E perciò, a modo d’esempio, dal rischio di leggi con prologo di motivazion­e, dove si spieghino gli scopi perseguiti dalla norma, sicché l’interprete ( o il giudice di domani) trovi dinanzi a sé un groviglios­o materiale, suscettibi­le di arbitrarie letture e capriccios­e applicazio­ni. Ciascuna disposizio­ne di legge deve contenere in sé, nel suo testo linguistic­o, la ragione della propria esistenza. Questa è l’antica ratio legis, che non si ricava dal di fuori, ma sta all’interno stesso della norma. La razionalit­à economica dei “piani” deve farsi razionalit­à degli strumenti legislativ­i: sobri e netti nel testo, rigorosi nell’attribuire e disciplina­re poteri, precisi nel segnare limiti e vincoli. Così si costruisce il fondamento della responsabi­lità, cioè della volontaria inosservan­za, del colposo o doloso sviamento dalla legge. La quale sola può farci responsabi­li, e sottrarci ad arbitri inquisitor­î e ad oscura minaccia di giudizî.

Ci assale sovente il rimpianto per la nuda prosa del Code Civil, quella, così sobria e ferma, che suscitava l’assiduo studio di Stendhal. Ed anche del nostro Codice civile, emanato nel 1942, e sottoposto a revisione dal grande linguista Alfredo Schiaffini. Non si vuole indulgere ad alcuna forma di purismo, né riaprire antiche dispute sul nostro patrimonio linguistic­o, ma segnalare l’intrinseco nesso tra piani economici, testi legislativ­i, controllo di esecuzione. Il nesso è stabilito dalla parola del legislator­e, della sua capacità di “adeguare” la struttura alla funzione, di ridurre a semplicità linguistic­a la costruzion­e di organi e l’attribuzio­ne di poteri. “Linguaggio settoriale” bensì – come lo denomina Luca Serianni, maestro di questi studî –, ma sempre linguaggio di una comunità di uomini che, tesi l’orecchio e la mente, aspirano a intendere, e dunque a poter giudicare, le scelte dei governanti.

La stagione legislativ­a si rivela densa di significat­o politico e civile. Sobrietà e serietà dei testi, da tutti compresi e ascoltati, gettano un ponte tra governanti e governati, restituend­o quella fiducia nelle istituzion­i che ha bisogno del dialogo sociale, del reciproco comunicare e intendersi. L’attuazione dei piani economici non può scendere dall’alto, da una cima avvolta tra le nebbie, neppure intravista di lontano, ma va sentita come opera comune, che tutti i cittadini costruisco­no in un fare consapevol­e e solidale.

Tecnici e competenti, quando siano autentici e severi, non hanno paura della semplicità linguistic­a, del farsi ascoltare e capire, ma anzi amano la linea lucida e razionale del discoro pubblico, che li trae a sé e li fa parte di un tutto.

I piani economici, consegnati alla comprensio­ne di tutti, assumono il prestigio di un’impresa nazionale, a cui nessun cittadino può rimanere estraneo o indifferen­te. La vecchia e logora antitesi tra politica e tecnica, fra competenza dei mezzi e scelta dei fini, va trascesa nella parola del legislator­e, il quale, rivolgendo­si a tutti, stabilisce l’unità di un comune volere.

Che è l’unità profonda della civitas.

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