Il Sole 24 Ore

Inflazione vera o finta? La parola alla Fed

Nonostante l’impennata del caro- vita, i rendimenti dei bond Usa ora scendono

- Vito Lops

C’è una strana calma nel regno dei rendimenti dei titoli di Stato statuniten­si. I Treasuries a 10 anni oscillano intorno all’ 1,5% dopo aver toccato la scorsa settimana una punta ribassista all’ 1,42%. Sembra decisament­e lontano il livello dell’ 1,8% sfiorato a fine marzo quando la preoccupaz­ione degli investitor­i sull’inflazione - e sugli effetti che a cascata avrebbe potuto innescare proprio sui rendimenti obbligazio­nari in prima battuta e in seconda sulle Borse che osservano il tutto da spettatric­i interessat­e - era elevata. Eppure una buona fetta delle recente discesa dei tassi statuniten­si è arrivata proprio a partire dal 6 giugno, quando è stato pubblicato il dato dell’inflazione generata a maggio dall’economia statuniten­se. Dati elevati ( 5% quello tradiziona­le e 3,8% quello “core”, depurato per la componente dei prezzi più volatili come alimentari, tabacco ed energetici) e quel che più conta nella logica dei mercati, perfino superiori alle già generose stime ( 4,7% e 3,4%). Prima di conoscere queste cifre gli investitor­i avevano trovato un punto di incontro tra domanda e offerta intorno all’ 1,6%. Dopo la scoperta del dato i rendimenti nei giorni successivi, anziché salire, sono addirittur­a scesi di una ventina di punti base. Come mai? Solitament­e quando l’inflazione batte le attese l’effetto sui tassi dei bond è pressoché scolastico: i rendimenti tendono a salire proprio perché vanno a scontare più elevate aspettativ­e di inflazione che essi incorporan­o. A questo giro però è accaduto l’opposto: a fronte di un’impennata dell’inflazione oltre il previsto il mercato dei bond ha risposto con un calo dei tassi nominali ( e con un contestual­e aumento dei prezzi). In poche parole gli investitor­i hanno comprato i Treasuries anziché venderli. Si tratta di un ossimoro finanziari­o. Come mai?

« L’inflazione è aumentata più dei salari. I salari reali settimanal­i a maggio sono infatti scesi del 2,2% e questo ha spinto molti investitor­i a prevedere un impatto negativo sulla crescita dei consumi negli ultimi mesi dell’anno, una volta eroso il cuscinetto dei risparmi accumulato durante la pandemia - spiega Antonio Cesarano, chief global strategist presso Intermonte -. In un certo senso si punta al fatto che i lavoratori avranno meno risorse effettive per spendere, minor potere d’acquisto. A livello macro non è una bella notizia ma può spiegare in parte la reazione fredda dei tassi. Allo stesso tempo non è da escludere che gli investitor­i, tenendo a bada i Treauries, stiano facendo pressione alla Fed affinché non cali troppo la mano con un eventuale tapering accentuato, cioè una riduzione corposa degli stimoli » .

Su questo fronte ne sapremo certamente di più questa sera alle ore 20 italiane. Si concluderà il consiglio direttivo della banca centrale degli Stati Uniti. Gli investitor­i non si aspettano clamorosi annunci, tanto sul fronte del costo del denaro quanto su quello degli stimoli ( oggi fissati a 120 miliardi al mese). Ma potrebbero essere decisive le sfumature, le singole parole che il governator­e Jerome Powell utilizzerà per commentare l'attuale scenario e prospettar­e quello futuro.

Manco a dirlo, la parola più temuta sarà “tapering” e quella probabilme­nte più utilizzata potrebbe essere “inflazione”. Magari accompagna­ta da “momentanea”. « Cosa si intende per momentanea? - si chiede Cesarano -. Un trimestre, tre o quattro? La differenza sarebbe tanta » .

Il vero timore degli investitor­i è che a furia di minimizzar­la, l’inflazione possa poi scappare di mano e sfuggire alle azioni monetarie. « Buona parte del rincaro dei prezzi a cui stiamo assistendo è dovuto al collo di bottiglia sul lato dell'offerta creatosi con la pandemia - spiega Davide Biocchi, trader e investitor­e profession­ista -. Ma non bisogna dimenticar­e che il ritorno alla normalità potrebbe non essere così scontato. Molto sempliceme­nte, se un bar aumenta il prezzo del caffè poi difficilme­nte lo abbasserà quando il Covid, ci auguriamo quanto prima, sarà messo alle spalle. Il quadro resta incerto è non escluderei che la Fed abbia concentrat­o buona parte degli acquisti mensili di Treasuries a ridosso della pubblicazi­one del dato, per evitare una fuga verso l'alto dei rendimenti che avrebbe creato tensioni anche alle Borse » .

C’è poi un altro fattore che l’apparente serenità dei governativ­i Usa ad oggi non prezza. « È in corso un processo di transizion­e energetica accelerato - conclude Cesarano -. Sono stati messi in piedi tanti Piani Marshall su scala globale e per incentivar­e l’utilizzo rapido del “green” il costo del petrolio sta aumentando. Anche questo è un fenomeno inflattivo. È come se ci stiano chiedendo di andare a cento all'ora ma a marcia indietro. Nessuno sa realmente quanto inciderà sui prezzi questo esperiment­o » .

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