Il Sole 24 Ore

PER LA PACE COMMERCIAL­E UN FRONTE PIÙ AMPIO

- Di Gianluca Di Donfrances­co

L’intesa sulla vicenda Boeing- Airbus avvia alla chiusura la più semplice delle partite aperte tra Stati Uniti e Unione Europea. La tregua era già stata dichiarata a marzo, quando i dazi incrociati sono stati sospesi. La fase calda dello scontro commercial­e tra le due sponde dell’Atlantico si è spenta ancora prima, con l’avvicendam­ento tra Donald Trump e Joe Biden alla Casa Bianca e lo stop alla escalation di tariffe e ritorsioni, che ormai minacciava le esportazio­ni di auto europee. Per azzerare l’eredità di Trump e ricomporre le fratture lasciate dal suo unilateral­ismo ci vorrà però tempo e pazienza. Come il vertice di ieri ha dimostrato una volta di più. In primo luogo perché i singoli dossier, siano essi ostici ( la riforma della Wto), semplici ( i dazi su acciaio e alluminio) o relativame­nte nuovi ( web tax e progetti di dazi su merci ad alto impatto ambientale), si inquadrano tutti in una cornice più ampia, che va anche oltre l’ipotesi di riaprire un negoziato commercial­e a tutto campo. In gioco c’è la ridefinizi­one delle relazioni transatlan­tiche alla luce della dottrina Biden sulla Cina, in una chiave che Washington vorrebbe apertament­e orientata a contrastar­ne l’ascesa ( se ne coglie traccia anche nell’intesa Boeing- Airbus). Gli Stati Uniti restano la prima potenza mondiale, l’alleato storico e una democrazia liberale. L’Europa ha però le sue ragioni per scegliere un atteggiame­nto più prudente. Le cicatrici lasciate da Trump sono fresche e hanno intaccato l’affidabili­tà di un partner che si è mostrato capace di rovesciare in modo repentino la propria agenda internazio­nale e di rinnegare con disinvoltu­ra l’adesione al multilater­alismo. La Cina, poi, è un partner e un mercato strategico, un traino per l’economia globale. E sempre più lo sarà. Biden deve risalire questa china e propone con enfasi una cooperazio­ne internazio­nale basata sulla condivisio­ne di un sistema di valori. È un asset che Pechino non può offrire: la seconda economia al mondo resta un regime autoritari­o. E il richiamo Usa esercita una sua innegabile forza. L’industria tedesca ha forti interessi a conservare buone relazioni con la Cina, ma questo non ha impedito al Bundestag di approvare, qualche giorno fa, una legge che dal 2023 richiederà ai suoi big di tenere sotto controllo il rispetto dei diritti umani e la tutela dell’ambiente lungo l’intero arco delle catene di approvvigi­onamento globali. Nel mirino ci sono le miniere di cobalto e di altri minerali strategici per la Green economy, ma c’è anche lo Xinjiang, dove, secondo diverse organizzaz­ioni umanitarie, il regime di Pechino avrebbe allestito un sistema di campi di lavoro e rieducazio­ne ai danni dell’etnia uigura. La Commission­e Ue è al lavoro su una direttiva analoga alla legge tedesca. Un’alleanza concreta tra Washington e Bruxelles su supply chain e tecnologie, per ridurre la dipendenza dalla Cina, è ambiziosa quanto suggestiva. Da ieri ha anche una sede ideale dove provare a prendere forma, con il neonato Comitato su commercio e tecnologia. Il cammino dalla tregua alla pace, e dalla pace al fronte comune, è però ancora lungo.

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