PER LA PACE COMMERCIALE UN FRONTE PIÙ AMPIO
L’intesa sulla vicenda Boeing- Airbus avvia alla chiusura la più semplice delle partite aperte tra Stati Uniti e Unione Europea. La tregua era già stata dichiarata a marzo, quando i dazi incrociati sono stati sospesi. La fase calda dello scontro commerciale tra le due sponde dell’Atlantico si è spenta ancora prima, con l’avvicendamento tra Donald Trump e Joe Biden alla Casa Bianca e lo stop alla escalation di tariffe e ritorsioni, che ormai minacciava le esportazioni di auto europee. Per azzerare l’eredità di Trump e ricomporre le fratture lasciate dal suo unilateralismo ci vorrà però tempo e pazienza. Come il vertice di ieri ha dimostrato una volta di più. In primo luogo perché i singoli dossier, siano essi ostici ( la riforma della Wto), semplici ( i dazi su acciaio e alluminio) o relativamente nuovi ( web tax e progetti di dazi su merci ad alto impatto ambientale), si inquadrano tutti in una cornice più ampia, che va anche oltre l’ipotesi di riaprire un negoziato commerciale a tutto campo. In gioco c’è la ridefinizione delle relazioni transatlantiche alla luce della dottrina Biden sulla Cina, in una chiave che Washington vorrebbe apertamente orientata a contrastarne l’ascesa ( se ne coglie traccia anche nell’intesa Boeing- Airbus). Gli Stati Uniti restano la prima potenza mondiale, l’alleato storico e una democrazia liberale. L’Europa ha però le sue ragioni per scegliere un atteggiamento più prudente. Le cicatrici lasciate da Trump sono fresche e hanno intaccato l’affidabilità di un partner che si è mostrato capace di rovesciare in modo repentino la propria agenda internazionale e di rinnegare con disinvoltura l’adesione al multilateralismo. La Cina, poi, è un partner e un mercato strategico, un traino per l’economia globale. E sempre più lo sarà. Biden deve risalire questa china e propone con enfasi una cooperazione internazionale basata sulla condivisione di un sistema di valori. È un asset che Pechino non può offrire: la seconda economia al mondo resta un regime autoritario. E il richiamo Usa esercita una sua innegabile forza. L’industria tedesca ha forti interessi a conservare buone relazioni con la Cina, ma questo non ha impedito al Bundestag di approvare, qualche giorno fa, una legge che dal 2023 richiederà ai suoi big di tenere sotto controllo il rispetto dei diritti umani e la tutela dell’ambiente lungo l’intero arco delle catene di approvvigionamento globali. Nel mirino ci sono le miniere di cobalto e di altri minerali strategici per la Green economy, ma c’è anche lo Xinjiang, dove, secondo diverse organizzazioni umanitarie, il regime di Pechino avrebbe allestito un sistema di campi di lavoro e rieducazione ai danni dell’etnia uigura. La Commissione Ue è al lavoro su una direttiva analoga alla legge tedesca. Un’alleanza concreta tra Washington e Bruxelles su supply chain e tecnologie, per ridurre la dipendenza dalla Cina, è ambiziosa quanto suggestiva. Da ieri ha anche una sede ideale dove provare a prendere forma, con il neonato Comitato su commercio e tecnologia. Il cammino dalla tregua alla pace, e dalla pace al fronte comune, è però ancora lungo.