Le contro sanzioni della Cina colpiranno anche aziende non Usa
Che succede, adesso, con la dichiarazione Nato che inquadra la Cina come nemico numero uno della sicurezza mondiale, ben più temibile della vecchia Russia?
Dopo un G7 tutt’altro che favorevole a Pechino la ritrovata compatezza dei Trenta Paesi aderenti al Patto Atlantico è sale sulle ferite cinesi, i dazi di Donald Trump da 300 miliardi di dollari in più all’anno sono briciole rispetto alla guerra che sta per scatenarsi sul versante della tutela della reciproca sicurezza nazionale, soprattutto americana e cinese.
Non solo veti incrociati. Si profila, invece, una vera e propria serie di reazioni uguali e contrarie. Leggi e divieti emanati da ambo le parti che i due presidenti, Joe Biden e Xi Jinping, dovranno gestire per evitare che deflagrino.
Gli investimenti reciproci, le partecipazioni borsistiche, le collaborazioni scientifiche e, perfino, la mobilità delle persone fisiche sono a rischio. Gli Usa congelano aziende di primissimo livello che valgono metà del Pil cinese, la Cina promette di sanzionare chiunque abbia un qualche legame con decisioni prese a migliaia e migliaia di chilometri di distanza ma che abbiano comunque compromesso gli interessi nazionali di cittadini e aziende cinesi.
Nella black list modello Biden le 59 aziende in odore di ingerenze militari cinesi potranno aumentare di numero, ma torna l’obbligo a carico degli americani di disinvestire in quelle realtà introdotte dalla black list di Donald Trump. Entro il prossimo mese di giugno i capitali americani devono essere disinvestiti, senza l’ok del Tesoro.
Donald Trump ha attuato la legge del ’ 99 che imponeva al Pentagono di censire le aziende cinesi sospette, a novembre scorso erano 35, due tra cui Xiaomi furono aggiunte in zona Cesarini. Ma toccherà a Biden attuare il meccanismo boomerang. Come è possibile disinvestire così massicciamente quando è noto che l’esposizione reale americana sulla Cina è almeno sei volte quanto dichiarato? Sono i capitali americani a finanziare le quotazioni di aziende cinesi, anche in Cina, via paradisi fiscali.
Adesso anche Pechino ha mosso le sue pedine con la legge varata alla vigilia del G7 di Carbis Bay che consente di espellere e sanzionare chi ha contributo a determinare o ottempera alle sanzioni contro la Cina. La reazione di Pechino è pesante, specie per le persone fisiche e per la comunità straniera che vive e lavora in Cina. Circa 700mila persone, molte collegate ad attività di impresa, enti, Ong. La Cina può sanzionare aziende di Paesi terzi in affari con aziende di Stati non desiderati. Può bloccare nuovi investimenti in Cina perché considerati contrari alla sicurezza nazionale. E si sa quanto importanti siano stati gli investimenti esteri, finanziari e non finanziari, nel 2020, anno della pandemìa. D’ora in poi può anche colpire singoli individui collegabili ad attività contrarie all’interesse nazionale della Cina.
Come discesa nei precipizi della guerra fredda, niente male. Non si alza un muro.
Si rialza la Muraglia.