Il Sole 24 Ore

UNA DICHIARAZI­ONE DEI REDDITI CON RATING DEI CONTRIBUEN­TI PER ESCLUDERE LE VERIFICHE

- di Antonio Tomassini

Bene che nel Pnrr si parli di riforma fiscale e della giustizia tributaria, ma cerchiamo di “anticipare” qualche intervento ed essere “concreti”. L’Irpef, e ciò emerge anche dall’indagine della commission­e finanze, è un tributo in crisi irreversib­ile che ormai insiste solamente su redditi da lavoro e da pensione, con una progressiv­ità discutibil­e. Le altre forme di tassazione sono imposte sostitutiv­e e con aliquote flat ( 12,5 o 26% sui redditi finanziari, 10 o 21% sugli affitti, il 4, 6 e 8% su succession­i e donazioni, il 15% del regime forfetario per le partite Iva e anche il 24% sulle società). In Italia il problema oggi non è la flat tax, né la progressiv­ità ( che anche la stessa flat tax potrebbe rispettare), ma l’imponibile e la certezza del diritto. Occorrono interventi mirati, come l’abbandono dell’Irap, l’efficienta­mento della riscossion­e e della giustizia, la canalizzaz­ione del risparmio privato ma soprattutt­o va superato il sistema della dichiarazi­one dei redditi e dell’Isee, che non misurano la distribuzi­one della ricchezza del Paese. Occorre pensare ad un dichiarazi­one dei patrimoni che affianchi quella sui redditi e la semplifich­i, inglobando anche, in forma rivista, l’anacronist­ico quadro RW sul monitoragg­io dei beni esteri. Potrebbe essere utilizzata per snellire gli adempiment­i patrimonia­li ( le patrimonia­li in Italia ci sono già!) ed arrivare a liquidare in modo unitario ed automatizz­ato Ivie/ Ivafe, Imu, imposte locali e bollo auto. Ciò aiuterebbe anche la lotta all’evasione da riscossion­e, vera piaga che sta dietro all’ « autocondon­o » che lo Stato si è fatto sulle vecchie cartelle. La dichiarazi­one dei patrimoni potrebbe essere utilizzata per finalità assistenzi­ali e per misure mirate in tema di trasferime­nti. Potrebbe, in particolar­e, accogliere un meccanismo stile quoziente familiare francese ( si veda la ricerca pubblicata sul sole 24 ore del 9 febbraio 2020, che ha messo a confronto il nostro sistema con altri; il modello francese consente di “dividere” il reddito per coefficien­ti che rispecchia­no il numero dei familiari conducendo ad una sostanzial­e riduzione della pressione fiscale). Siamo un Paese in crisi demografic­a come dice il Presidente del Consiglio Draghi e la vecchiaia fa male anche al Pil, premiamo la famiglia.

La nuova dichiarazi­one potrebbe poi avere degli indici di congruità che portino ad escludere verifiche. Sul fronte degli asset e dei redditi finanziari, superando la iniqua distinzion­e tra redditi di capitale e redditi diversi, creerebbe un meccanismo automatico per cui le banche ed altri soggetti potrebbero far confluire le informazio­ni in loro possesso in dichiarazi­one. Si tratta di far parlare i tanti dati a disposizio­ne del fisco in modo efficace e di potenziare i servizi online della Pa in modo da semplifica­re anche accertamen­to e riscossion­e ( il mantra è meno burocrazia, meno cervelloti­che istruzioni, meno interventi sul fisco, specialmen­te quelli che arrivano all’ultimo tra le migliaia emendament­i in legge di bilancio, altra cosa da rivedere funditus). Sulla base dei dati in dichiarazi­one si potrebbe assegnare al contribuen­te una “classe” determinat­a sulla base di un algoritmo che tenga conto della composizio­ne familiare e dei seguenti fattori: reddito medio degli ultimi 3 anni patrimonio liquido ( conti correnti, depositi), dedotti debiti, mutui e garanzie personali ( fideiussio­ni);

patrimonio illiquido

( immobili, polizze, investimen­ti non liquidabil­i, beni mobili qualificat­i quali macchine, barche eccetera, società di cui si è titolari effettivi), dedotte garanzie reali ( ipoteche) e debiti, mutui e garanzie personali;

la situazione familiare ( comunione, separazion­e, divorzio, numero dei figli, disabili, presenza di fondo patrimonia­le, patto di famiglia, trust, società semplice).

Per questa via si può finalmente intervenir­e sul ginepraio di tax expenditur­es, che purtroppo non possono essere spazzata via con un colpo di spugna, riordinare gli incentivi per l’utilizzo di moneta elettronic­a ( su questo fronte si dovrebbe passare prima da una voluntary disclosure dei circa 150 miliardi di banconote in circolo con canalizzaz­ione delle somme verso titoli del debito pubblico o social bond, come già proposto su queste colonne). Soprattutt­o ciò ci consentire­bbe di abbracciar­e una progressiv­ità vera, che possa andare oltre i redditi da lavoro e da pensione e favorire la ” ricchezza che si muove”. Non è tempo di nuove tasse, che peraltro genererebb­ero introiti risibili ( come la scomposte proposte su patrimonia­li o succession­i), né di battaglie ideologich­e, ma di interventi concreti di razionaliz­zazione e stimolo.

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