Il Sole 24 Ore

Le Authority garanti tra limiti di ruolo e tutela della privacy

- Oreste Pollicino

La Corte di giustizia, nella decisione commentata ieri su questo giornale, ammettendo, a certe condizioni, che un’Autorità garante, pur non essendo la “capofila”, possa esercitare il suo potere di intentare un’azione dinanzi a un giudice nazionale, ha provato a dare una risposta al seguente quesito: quale l’equilibrio più corretto tra applicazio­ne coerente e omogenea della disciplina europea in materia di protezione dati ed esigenza di garantire, in ogni caso, un adeguato livello di protezione al diritto alla privacy digitale che la Carta dei diritti dell’Unione promuove, a tutti gli effetti, a diritto fondamenta­le? La Corte di giustizia riesce a dare una risposta convincent­e, interpreta­ndo in modo conforme al Bill of Rights dell’Unione le disposizio­ni del Gdpr in tema di sportello unico. Un meccanismo, quest’ultimo, che si fonda sulla ripartizio­ne delle competenze tra un’ « Autorità di controllo capofila » e le altre Autorità degli Stati membri coinvolte in caso di trattament­o transfront­aliero di dati. L’Autorità di controllo capofila è quella dello Stato in cui vi è lo stabilimen­to principale del controller.

Il punto fondamenta­le da chiarire era se la ripartizio­ne di competenze tra Autorità capofila e Autorità di controllo che presiede a questo meccanismo, volto evidenteme­nte a una semplifica­zione delle procedure e a una maggiore coerenza delle decisioni, implicasse che la prima, vale a dire la capofila, fosse sempre e soltanto l’unica Autorità a poter, per cosi dire, “interloqui­re”, con il titolare del trattament­o. L’importanza della decisione della Corte è, rispondend­o negativame­nte a questa domanda, fare emergere come il meccanismo dello sportello unico non sia un monolite che attribuisc­e sempre e comunque la prima e l’ultima parola all’Autorità capofila, ma piuttosto un complesso sistema di coordiname­nto e di ripartizio­ne di competenze.

Allo stesso modo la Corte di giustizia è assai saggia nel non cadere nella trappola preparata dall’Autorità di controllo belga per cui tale meccanismo di coordiname­nto, attribuend­o comunque l’esclusivit­à, seppure tendenzial­e, dell’interlocuz­ione all’Autorità capofila, si scontrereb­be con le disposizio­ni della Carta dei diritti dell’Unione a tutela della privacy, della protezione dati e del principio di effettivit­à della tutela giurisdizi­onale. La tutela di tali valori costituzio­nali è rintraccia­ta, dai giudici di Lussemburg­o, proprio all’interno delle maglie del Gdpr, nell’equilibrio di cui si parlava in apertura tra, per un verso, omogeneità dell’applicazio­ne della disciplina rilevante e, per altro verso, coinvolgim­ento di tutte le Autorità nel sistema di protezione dei diritti in gioco.

Un equilibrio che si fonda su due indicazion­i assai rilevanti che provengono da Lussemburg­o. Innanzitut­to, responsabi­lizzazione dell’Autorità capofila che ha, per cosi dire, una speciale responsabi­lità, per l’appunto, a promuovere un’efficace tutela dei diritti fondamenta­li. Pena l’incoraggia­re, nelle parole della Corte « una pratica di forum

shopping, in particolar­e da parte dei titolari del trattament­o, al fine di eludere tali diritti fondamenta­li » . Quindi l’Autorità capofila deve essere cane da guardia che non solo abbai, ma sia anche in grado di mordere. In secondo luogo, e forse l’aspetto più interessan­te della decisione, il processo di responsabi­lizzazione dell’Autorità capofila si lega a una visione, strettamen­te connessa, della stessa non come istituzion­e che “balla da sola” ma che, in una dimensione corale, non può sottrarsi « a un dialogo indispensa­bile nonché a una cooperazio­ne leale ed efficace con le altre Autorità di controllo interessat­e » .

Si tratta di un punto molto importante perché si attribuisc­e sostanza a quel dialogo orizzontal­e tra Autorità di protezione che il Gdpr ha provato a rafforzare dal punto di vista istituzion­ale, ma che va ovviamente poi testato, come in questo caso, anche al di fuori del board delle Autorità garanti.

In conclusion­e, sembra emergere un orientamen­to della Corte di giustizia che prova a emancipars­i da quella prospettiv­a unidirezio­nale di tutela della privacy digitale che ha caratteriz­zato le decisioni rilevanti più recenti e che guardi con maggiore ampiezza al sistema di protezione dei diritti fondamenta­li, cercando dunque un bilanciame­nto, spesso a geometria variabile, tra istanze frequentem­ente in conflitto.

Se in futuro si riuscisse ad ampliare ancora di più la visione in merito alla “costellazi­one” dei diritti in gioco che spesso sono coinvolti in questi casi, come, per esempio, libertà di espression­e e diritto di iniziativa economica, l’obiettivo di una tutela sistemica, in grado di inquadrare detta costellazi­one nel suo insieme, potrebbe essere presto realizzato.

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