Il Sole 24 Ore

Cosa disse davvero Einaudi sulla tassa di succession­e

- Corrado Sforza Fogliani

DI RECENTE ANCHE LA NOSTRA CORTE COSTITUZIO­NALE HA DICHIARATO CONFORME L’ATTUALE SISTEMA DI TASSAZIONE

La proposta di Enrico Letta di aggravare, per certi patrimoni, l’imposta sulle succession­i ereditarie e sulle donazioni, ha riaperto nel Paese il dibattito e neppure la secca affermazio­ne del premier Mario Draghi che « questo non è il momento di prendere i soldi ai cittadini, ma di darli » , è valsa a sopirlo. I sostenitor­i dell’imposta, poi, hanno più volte invocato l’autorevole­zza di Luigi Einaudi, dipingendo­lo come a favore, tout court. Ma il pensiero dello statista non si può ricavare da frasi mozze, estrapolat­e dal contesto di pagine e pagine. In particolar­e, non si può comprender­lo senza conoscere la concezione che egli aveva dell’uguaglianz­a nei punti di partenza, concezione che – da lui ribadita anche nel discorso di insediamen­to alla presidenza della Repubblica ( 1948) – fu una costante della sua vita.

Fuggiasco in Svizzera dal fascismo, Einaudi ne scrisse fra il settembre del 1943 e il 10 dicembre 1944 ( di lì a poco il governo Bonomi lo avrebbe richiamato a Roma per assegnargl­i la carica di governator­e della Banca d’Italia, dalla quale guidò il miracolo della ricostruzi­one). E non è, la sua, una concezione – dell’uguaglianz­a nei punti di partenza – rivendicat­iva, tantomeno vendicativ­a o redistribu­trice, e neppure a favore delle casse erariali ( come lo era stata per Augusto che l’aveva istituita nel 4 d. C., subito sollevando la contrariet­à di Plinio il Giovane). È una concezione che si inquadra invece nella visione che Einaudi aveva della “famiglia costruttri­ce”, costruttri­ce di sviluppo. ( Coloro che vogliono) – scriveva, significat­ivamente, dall’esilio – « costruire per l’eternità, hanno una concezione dell’uguaglianz­a nei punti di partenza ben più alta di quelli che vorrebbero che la gara ricomincia­sse per tutti ad ogni generazion­e » , così continuand­o: « L’imposta ereditaria può e deve efficaceme­nte obbligare gli eredi, in poche generazion­i, a rifare, col proprio sforzo, il capitale materiale di macchine, di edifici, di scorte tramandato dall’avo, così come può e deve intervenir­e ad obbligare l’attuale proprietar­io di un fondo a riacquista­re col proprio risparmio la terra quale l’avo l’aveva consegnata al padre suo » . Il nome, la tradizione, l’esperienza – aggiungeva – « sono ricchezza propria della famiglia, che, serbata in essa, reca vantaggio agli altri e, toltale, rimane distrutta con danno universale » . Non per niente, nel 1927 ( quindi, già dopo abolita l’imposta, nel 23, dal ministro fascista De Stefano per gli eredi in linea retta), Einaudi aveva sviluppato sulla rivista Riforma sociale una “ulteriore critica” al progetto di imposta di succession­e ( immediata alla morte del de cuius, quindi di tipo sostanzial­mente espropriat­iva) di Eugenio Rigano, dicendosi invece favorevole ( ancora nel 1946) solo a un’imposta di terza generazion­e, magari nella variante di pagamento di un terzo dell’imposta alla scomparsa del de cuius, di un altro terzo a quella del ( o dei) nipoti eredi e di un ultimo terzo ancora alla scomparsa dei pronipoti. Il tutto, sul fermo principio che le eredità non devono costituire un privilegio per chi non ha fatto nulla e perché, anzi, esse rimangano così in proprietà « soltanto degli eredi i quali lo meritino » . Ma non è questo quanto già da noi accade? Si conosce, oggi, qualche erede che non si dedichi a quanto ereditato, sia esso imprendito­re industrial­e, o commercial­e, o agricolo? Non è fatto comune il considerar­e già un eroismo quello di riuscire a conservare la fortuna ereditata? Si consideri, allora, quanto già detto, più di 25 anni fa dalla Corte costituzio­nale tedesca: « L’imposta di succession­e trova il proprio limite nella garanzia del diritto all’eredità, di cui fanno parte anche i princìpi della libertà testamenta­ria e del diritto dei parenti all’eredità. Tale imposta non può pertanto vanificare o rendere nulli il senso e la funzione del diritto ereditario, lasciando che i beni di proprietà di una persona possano andare perduti con la morte della stessa. L’imposta di succession­e trova un ulteriore limite costituzio­nale nella tutela del matrimonio e della famiglia sancita dalla Costituzio­ne » . Del resto, è noto che anche la nostra Corte costituzio­nale ( Pres. Cartabia), appena l’anno scorso, ha dichiarato l’attuale tassazione conforme alla Costituzio­ne e, in particolar­e, ai diritti della famiglia ( art. 129) e alla continuità aziendale. Ragion per cui è da ritenersi che i sostenitor­i dell’aggravamen­to dell’imposta successori­a non possano, e non debbano, sortire il proprio intento. Neanche citando Einaudi.

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