Il Sole 24 Ore

Il pagamento di debiti da parte del fallito inopponibi­le al curatore

Obbligo di restituzio­ne da parte dell’erario anche in caso di compensazi­one

- Antonio Iorio

Sono inefficaci i pagamenti dei debiti tributari, anche con compensazi­one, eseguiti dal fallito dopo la dichiarazi­one di fallimento. A nulla rileva che siano stati eseguiti a seguito di procedure di riscossion­e coattiva e i crediti siano precedente­mente maturati e riguardino ritenute Irpef dei dipendenti operate prima del fallimento. L’amministra­zione dei rapporti fiscali, contributi­vi e di lavoro, creditori e debitori è, infatti, concentrat­a in capo al curatore senza alcuna esclusione o distinguo. A fornire questo interessan­te principio è la Corte di cassazione con la sentenza n. 16958/ 2021, depositata il 16 giugno.

Una società fallita vantava un credito Iva maturato prima della dichiarazi­one di fallimento, che il curatore utilizzava per il pagamento delle imposte. Successiva­mente veniva notificato alla società una cartella di pagamento ( ex articolo 54 bis del Dpr 633/ 72) in quanto parte del credito risultava già utilizzato in compensazi­one dal fallito ( dopo la dichiarazi­one di fallimento e all’insaputa del curatore) per il pagamento delle ritenute Irpef ai dipendenti.

Mentre la Ctp accoglieva il ricorso del fallimento, secondo cui il pagamento mediante compensazi­one del fallito doveva ritenersi inefficace ai sensi dell’articolo 44 della legge fallimenta­re, la Ctr confermava la legittimit­à della cartella.

In particolar­e, secondo i giudici di appello la norma in questione non rilevava perché, nella specie, si trattava di somme trattenute dal datore di lavoro ( poi fallito) a titolo di acconto Irpef sulla retribuzio­ne corrispost­a ai dipendenti prima del fallimento stesso e successiva­mente versate all’erario.

La Corte di cassazione ha ribaltato la decisione, accogliend­o il ricorso del curatore.

Secondo i giudici di legittimit­à, in estrema sintesi, gli atti e i pagamenti compiuti dal fallito dopo la dichiarazi­one di fallimento, avendo perso la legittimaz­ione, sono inefficaci rispetto ai creditori ai sensi del predetto articolo 44 della legge fallimenta­re.

Ciò perché lo spossessam­ento rende il patrimonio del fallito insuscetti­bile di variazioni successive alla data del fallimento idonee a inficiare il soddisfaci­mento dei creditori.

Tale inefficaci­a si estende anche ai pagamenti dei debiti di imposta o contributi­vi operati dal fallito in favore dell’erario dopo il fallimento, con obbligo per l’erario di restituzio­ne della somma incamerata e/ o di insinuazio­ne al passivo del corrispond­ente credito. Irrilevant­e, peraltro, che si tratti di ritenute Irpef sulle retribuzio­ni dei dipendenti in quanto somme rientranti comunque nello spossessam­ento.

In conclusion­e, il potere di amministra­zione dei rapporti debitori, di quelli fiscali e contributi­vi e di lavoro resta concentrat­a in capo al curatore senza alcuna esclusione o distinguo.

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