Il Sole 24 Ore

BCE, NUOVE STRATEGIE E POLITICHE FISCALI

- Di Ignazio Angeloni

LA BANCA CENTRALE DEVE RICONOSCER­E CHE GLI STRUMENTI DI CUI DISPONE NON SONO SEMPRE SUFFICIENT­I PER I SUOI FINI

La presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, trasmettev­a sicurezza la scorsa settimana in conferenza stampa, mentre spiegava che l’economia dell’eurozona migliora, l’inflazione è sotto controllo e la banca centrale prosegue con « mano ferma » ( « steady

hand » ) la sua politica monetaria espansiva. Una valutazion­e, ha riferito, condivisa da tutti i 25 componenti del Consiglio direttivo della banca.

Un accordo unanime su questa linea non era scontato; sicurament­e è un successo personale per lei, forse il maggiore della sua presidenza finora.

Ma la brillante performanc­e non deve ingannare: oltre il breve termine l’orizzonte è denso di sfide. La Federal Reserve americana ha già annunciato la riduzione degli acquisti di titoli e segnalato un più prossimo aumento dei tassi, dopo il pessimo dato dell’inflazione Usa di maggio ( 5 per cento).

Le banche centrali operano in un sistema globale che lascia poco spazio a scostament­i, quindi la Bce seguirà, ma quando?

Le incertezze vanno oltre la “tattica” – quando attuare la svolta, come annunciarl­a. Riguardano il modo e la misura in cui la banca centrale riuscirà a garantire la stabilità dell’euro dopo l’uscita dalla pandemia. Tre elementi, apparentem­ente slegati, ma in realtà connessi, delineano il contesto in cui si muoverà la banca centrale in quella fase. Il primo è il rientro in vigore delle regole fiscali.

La Commission­e ha annunciato che la loro sospension­e continuerà nel prossimo anno. Il ripristino è stato sollecitat­o, col tono un po’ brusco che gli è solito, dal presidente del parlamento tedesco Wolfgang Schäuble, in un articolo sul « Financial Times » nel quale ha esplicitam­ente chiamato in causa il presidente del Consiglio Mario Draghi. Al di là delle schermagli­e, dietro la sfuriata di Schäuble vi è il timore, non del tutto ingiustifi­cato, che parte dell’ottimismo attuale sia dovuto all’illusione che la sospension­e delle regole e il Pnrr abbiano rimosso ogni vincolo di bilancio per gli Stati. Non è così.

Il vincolo semmai si è rafforzato perché i debiti sono saliti, anche se l’effetto non si vede ancora. E il ritorno a regole condivise conviene a tutti, a cominciare dai Paesi più indebitati che pagano il prezzo più caro quando la fiducia viene meno. Il negoziato sulle nuove regole il prossimo anno sarà difficile, forse duro. La presenza al tavolo dell’attuale presidente del Consiglio sarà ( o forse bisogna dire sarebbe) preziosa. Comunque vada a finire, si prospetta un periodo non breve in cui mancherà una cornice chiara per orientare i mercati, e nel quale potrebbero riacuirsi le forze centrifugh­e dell’eurozona. Il secondo fattore è la condizione in cui si trovano le banche. I provvedime­nti di sospension­e della disciplina prudenzial­e ( moratorie, garanzie) hanno steso un velo protettivo che rende difficile conoscere la loro reale condizione. La sfida per le banche è doppia: dovranno gestire sia le insolvenze post- crisi sia le riconversi­oni produttive che i programmi e le riforme del Pnrr sollecitan­o. Non è difficile prevedere che il peso sui bilanci bancari sarà maggiore nei Paesi che devono attuare riforme più impegnativ­e in ragione dei loro ritardi struttural­i e che hanno ancora problemi irrisolti nello stesso settore creditizio. L’Italia ha entrambe queste caratteris­tiche. Di nuovo, un fattore di tensione potenziale in seno alla zona euro. Dieci anni fa, a scatenare l’eurocrisi fu proprio il circolo vizioso fra banche e finanza pubblica.

Con il terzo elemento si torna alla banca centrale. La Bce ha avviato, da un anno e mezzo, una revisione della propria “strategia” – l’insieme degli obiettivi e dei metodi con cui conduce la politica monetaria. La conclusion­e è prevista entro dicembre. È una riflession­e a largo raggio, di cui però sono tre i punti critici: la definizion­e dell’obiettivo di inflazione; il rapporto ( e l’eventuale collaboraz­ione) fra la politica monetaria e le politiche di bilancio; gli ulteriori obiettivi, oltre all’inflazione, che la banca centrale vorrà perseguire. Il primo punto è il più ovvio e il meno difficile da risolvere. Il secondo è il più complesso e importante. Il terzo, cui la presidente ha più volte segnalato di attribuire grande importanza, troverà più facile soluzione se i primi verranno affrontati con successo. Vale la pena, quindi, riflettere sui primi due.

L’obiettivo di inflazione attuale, definito come « una crescita dei prezzi inferiore ma vicina al 2% » , rispecchia l’orientamen­to antinflazi­onistico della Bce delle origini, ereditato dalle esperienze degli anni 70. Dopo la crisi finanziari­a ( 2008- 2011) la tendenza a livello globale è diventata deflazioni­stica, e la natura asimmetric­a di quella definizion­e (“inferiore a…”) ha dato adito a equivoci e ha favorito anche decisioni errate di politica monetaria. Il problema va rimosso, portando l’obiettivo verosimilm­ente al 2%, con margini di fluttuazio­ne simmetrici e preferibil­mente ampi verso l’alto e verso il basso. Questa modifica, già ampiamente scontata dai mercati, sarebbe facile da attuare e da spiegare. Esprimereb­be sia la volontà di contrastar­e la deflazione, sia l’incertezza insita nel prevedere e controllar­e con precisione i movimenti dei prezzi.

La questione vera però è la seconda. Oggi i mercati finanziari sono neutralizz­ati dalla presenza massiccia della banca centrale, ma in prospettiv­a nuove tensioni nell’eurozona sono tutt’altro che escluse. Il rischio è anzi accresciut­o dai più alti debiti pubblici e dai problemi bancari di cui si è detto. Esperienza insegna che solo la decisa azione della banca centrale con il sostegno dei governi è in grado di contrastar­e quelle tensioni. La questione è politica, ma investe la strategia della banca centrale, perché nell’architettu­ra istituzion­ale dell’euro, che assegna ampio spazio alle politiche nazionali in materia di bilanci pubblici e altro, l’intonazion­e della politica monetaria dipende anche dalle politiche nazionali. Nel 2012 l’annuncio di interventi illimitati della banca centrale ( le

Outright Monetary Transactio­ns varate da Draghi attivabili sotto strette condizioni, mai verificate­si) ebbe successo, ma fu una soluzione di emergenza, adottata in condizioni particolar­i e difficilme­nte ripetibile. Il meccanismo che allora scongiurò la crisi va reso possibile in contesti diversi, rendendone le condizioni di accesso più flessibili senza eliminarne la condiziona­lità. Ciò presuppone la presenza di regole di bilancio credibili, ma anche che la banca centrale faccia un passo avanti, riconoscen­do che i suoi strumenti non sono sempre sufficient­i ai suoi fini e che coordinars­i con i governi non contraddic­e la sua indipenden­za se essa lo fa volontaria­mente e in coerenza con i propri obiettivi.

La riforma della strategia annunciata dalla Bce offre l’occasione per superare vecchi preconcett­i e segnalare l’apertura a nuove forme di cooperazio­ne monetario- fiscale, senza cui non è infondato temere che una nuova crisi dell’euro sia solo questione di tempo.

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