Iran al voto: rischio astensione di massa
Oggi alle urne. Il candidato conservatore Raisi, capo del sistema giudiziario, è superfavorito e molti, soprattutto giovani, sono orientati a non votare
Quasi a voler sfidare la gigantografia a pochi metri da lei in piazza Valiasr, nel centro di Teheran, che ritrae decine di iraniani con in mano le schede elettorali ( un palese invito a votare), Menina, 25 anni, si alza gli occhiali a specchio e sorride: « No. Non andrò a votare domani. Se ci riconoscono il diritto di voto allora devono riconoscerci molti altri diritti che ci spettano. Sono molte le donne che la pensano come me » .
Quasi a voler sfidare la gigantografia a pochi metri da lei in piazza Valiasr, nel centro di Teheran, che ritrae decine di iraniani con in mano le schede elettorali ( un palese invito a votare), Ahdieh, 25 anni, si alza gli occhiali a specchio e sorride: « No. Non andrò a votare domani. Se ci riconoscono il diritto di voto allora devono riconoscerci molti altri diritti che ci spettano. Sono molte le donne che la pensano come me » .
Nonostante Ali Khamenei, la guida spirituale del Paese, abbia ammonito che votare è un dovere religioso e non farlo è un peccato grave, sono diversi i giovani iraniani che ci confidano di non volersi recare alle urne. E se si considera che l’età media di questo Paese di 82 milioni di abitanti è 27 anni, ben si comprende l’importanza di questo elettorato. D’altronde le elezioni presidenziali di oggi appaiono a molti iraniani come la cronaca di una vittoria annunciata. Quella del
‘ UOMO DI KHAMENEI
Raisi, giudice- mullah, potrebbe anche succedere all’ayatollah. Sul suo passato ombre di eccidi e repressione
‘ IL FRONTE MODERATO
Unico candidato superstite è l’ex capo della banca centrale Hemmati, nessun riformista è in corsa
‘ L’ECONOMIA
Il Paese è in ginocchio a causa delle sanzioni, che hanno ridotto metà della popolazione sotto la soglia di povertà
clerico Ebrahim Raisi, 60 anni, il giudice- mullah, il candidato conservatore vicino alla guida spirituale di cui, si vocifera, sarebbe uno dei potenziali successori.
Tutto gioca a suo favore. Il Consiglio dei Guardiani ha eliminato quasi 600 candidati. Ufficialmente perché difettavano dei requisiti. In realtà spesso perché scomodi.
Il voto di oggi è anche la cronaca di una “bassa affluenza annunciata”. Che rischia in parte di delegittimare i risultati e di ampliare quello scollamento tra la società iraniana e la classe al potere che nei momenti di maggior tensione è degenerato in grandi proteste. Così il regime di Teheran, dopo aver fatto man bassa alle politiche del 2020, consegnando il Parlamento in mano a conservatori e oltranzisti, sembra voler porre fine all’era del mullah moderato Hassan Rouhani ( 2013- 2021), il direttore d’orchestra del Jcpoa, l’accordo sul nucleare firmato nel 2015 da cui, nel 2018, Trump decise di uscire ripristinando le sanzioni.
Se non fosse per i ripetuti proclami alla Tv, non sembra nemmeno di vivere un vigilia elettorale così importante. Dai ricchi quartieri di Teheran nord, alle vivaci gallerie del centro, fino ai quartieri più popolari della parte meridionale, di manifesti elettorali se ne vedono pochissimi. E quasi sempre si tratta di Raisi.
Oltre a lui, sono rimasti due candidati. Tra di loro nessun riformista, e un solo rappresentante dei moderati: il tecnocrate Abdolnaser Hemmati, 64 anni, ex capo della banca centrale. Lui che si è trovato a gestire una svalutazione del 60% della valuta locale in meno di tre anni. Il terzo candidato è Mohsen Rezai, 66 anni, vicino ai Pasdaran, che ha sempre raccolto le briciole. È dunque tutto già deciso?
Non la pensa così Mohammed Ali- Abtahi. Clerico riformista, era stato uno dei protagonisti della primavera iraniana, quando dal 1997 al 2005, il presidente riformista Moahmmad Khatami stava cambiando il volto della Repubblica islamica. Vicepresidente e primo consigliere di Khatami, Abtahi era stato condannato nel 2009 a sei anni di prigione per aver incitato la popolazione a rovesciare il governo. « In queste elezioni noi riformisti avevamo 12 candidati – ci racconta in una delle rare interviste che rilascia -. Li hanno tutti eliminati. Oggi come riformisti sosteniamo indirettamente Hemmati. Credo che abbia ancora delle chance, anche se non molte, per arrivare al ballottaggio. E nel ballottaggio tutto è possibile » .
Professore di economia alla Teheran University, e consigliere dell’ala conservatrice iraniana, Foad Izadi mette le mani avanti. « Noi abbiamo un sistema diverso rispetto ai Paesi occidentali ma non per questo meno democratico. Non date per scontato che vincerà Raisi. Ma non date per scontato che non piaccia alla popolazione » .
Eppure, ripetono diversi iraniani, è così forte la sensazione che Raisi, nominato nel 2019 a capo del sistema giudiziario, abbia già vinto, da non andare a votare. Questo conservatore, diffidente verso l’Occidente, non sembra avere un grande carisma. Non mancano peraltro le ombre sul suo passato. Dalle voci che lo davano come uno dei protagonisti che orchestrarono l’esecuzione, o meglio l’eccidio, di circa 3mila prigionieri politici, forse 10mila giustiziati senza processo nel 1988 ( gli Usa lo misero sotto sanzioni), alle accuse di un suo coinvolgimento nella repressione, nelle torture e negli arresti durante le proteste scoppiate nel 2008, nel 2009 e nel 2019.
Ma occorre tener conto del pragmatismo iraniano davanti ai giovani che premono. « La realtà è che i conservatori dovranno fare qualcosa, in senso progressista, che noi riformisti non avevamo nemmeno provato a fare » ironizza l’ex vicepresidente riformista. « Dovranno aprire l’economia e avviare negoziati » . Anche il professore conservatore riconosce che l’accordo sul nucleare non è più una questione di se, ma di quando e di come. « Chiunque diverrà presidente, firmerà un accordo sul nucleare se lo riterrà un bene per il Paese » . Probabilmente dopo che terminerà il mandato di Rouhani, in luglio.
Mai come questa volta al centro della campagna elettorale il rilancio di un’economia messa in ginocchio dalle sanzioni. Secondo il Fondo monetario internazionale, l’inflazione ufficiale salirà al 39 per cento. La svalutazione del rial è stata impressionante. In alcune aree di Teheran un chilo di carne costa 40 dollari quando il salario minimo è di 215$. Le sanzioni, soprattutto l’embargo petrolifero, hanno ridotto metà della popolazione sotto la soglia di povertà. In pochi si illudono che il nuovo presidente risolleverà presto il Paese. Pare che finora il vincitore riconosciuto sia la rassegnazione degli iraniani.