I MOSAICI ITALIANI VINCONO SUI CLONI CINESI
Dieci sentenze a favore dell’azienda di Ravenna Risarcimento di 1 milione $ Il contraffattore condannato a pubblicare le scuse su WeChat e media nazionali
« Sa, uno ti può pestare i piedi una, due volte, ma poi devi reagire. Io dovevo tutelare la mia azienda e le persone che ci lavorano » . La caparbietà di Maurizio Leo Placuzzi, fondatore e presidente della Sicis di Ravenna, gli ha dato ragione, contro tutti i pareri legali che gli sconsigliavano di intentare una causa per contraffazione così complessa in un Paese come la Cina, in cui i tempi della giustizia e della burocrazia sono più lunghi persino di quelli italiani e dove non sempre la sensibilità dei tribunali è favorevole delle aziende straniere.
Ci sono voluti quattro anni, in effetti, per arrivare alla sentenza ( anzi: alle dieci sentenze, perché il tribunale ha deciso di aprirne una per ciascun caso, comprendente centinaia di prodotti). Quattro anni, molti intoppi e moltissimi soldi: non una passeggiata, per un’azienda di dimensioni medie come Sicis, specializzata nel settore del mosaico e del micromosaico per gioielli e tessuti, prodotti interamente a Ravenna e venduti ( per il 90%) in 54 Paesi, con 250 dipendenti e circa 58 milioni di euro di fatturato nel 2019. « Ma abbiamo persistito e pochi giorni fa, finalmente, è arrivata la notizia che attendevamo: l’Alta Corte di Guangdong ha emesso dieci sentenze a nostro favore contro la Rose Mosaic, che da anni copiava integralmente i nostri cataloghi e utilizzava la nostra immagine, riproducendo le foto del nostro showroom » , spiega l’imprenditore.
Che ha ottenuto una vittoria su tutta la linea: i giudici di Guangdong hanno riconosciuto all’azienda ravennate un importante risarcimento ( oltre un milione di dollari, una delle cifra più alte mai corrisposte in Cina per una causa di contraffazione in campo artistico- creativo). Inoltre, hanno affermato che Sicis è un mar
Dedico questa vittoria ai miei collaboratori. Ma spero che sia anche un incoraggiamento per altre imprese
chio riconosciuto in Cina, dove « gode di grande reputazione » , grazie a « prodotti in mosaico unici per design e lavorazione, considerati prodotti artistici che, in quanto tali, devono essere tutelati dalle leggi cinesi » . La Rose Mosaic è stata condannata a risarcire i danni, a cessare la produzione e distribuzione dei mosaici contraffatti, a distruggere i cataloghi che riproducevano immagini ascrivibili a Sicis e cancellarle dal proprio sito web e account WeChat ( il social network più influente in Cina). Il pronunciamento forse più rilevante, soprattutto se calato nel contesto culturale cinese, è l’obbligo del contraffattore di pubblicare le proprie scuse su WeChat per 12 mesi e poi, per i successivi 24 mesi, di pubblicarle una volta al mese su testate nazionali come « China News » e « China Industry and Commerce News » , oltre che sui giornali locali di Pechino, Shanghai e Guangdong.
« È una vittoria che dedico a miei collaboratori – dice Placuzzi –. Ma spero che questa vicenda possa essere un incoraggiamento anche per altre aziende, che purtroppo si trovano spesso ad affrontare da sole problemi di questo genere, senza il sostegno della politica o delle associazioni. Credo che le piccole imprese dovrebbero unirsi per creare, all’interno di associazioni più grandi, dei gruppi per tutelare i propri interessi » . I casi di contraffazione a danni del made in Italy non si contano: la Cina è forse uno dei Paesi in cui questo avviene in modo più evidente, ma non è certo l’unico. Tuttavia, aggiunge Placuzzi, è un mercato troppo importante per rinunciarvi: « Siamo in Cina dal 1988, con una sede a Hong Kong e uno showroom a Shanghai. Vale circa il 5% del nostro fatturato – spiega l’imprenditore –. Finora abbiamo lavorato soprattutto nel contract, ma nel 2019 abbiamo siglato un accordo con un importante distributore locale, per espanderci anche nel settore retail » . In oltre 30 anni di presenza su questo mercato, Sicis ha dovuto affrontare decine di battaglie legali, anche contro i grandi colossi del web. In passato, tuttavia, le cause venivano sostenute all’estero, in particolare negli Stati Uniti, nei Paesi in cui i prodotti contraffatti venivano venduti, muovendo azioni contro i distributori. « Abbiamo sempre agito così su consiglio dei nostri legali, aspettando che i prodotti contraffatti venissero venduti in altri Paesi, dove la giustizia è più rapida » , precisa l’imprenditore. Questa volta, però, Sicis ha voluto agire direttamente in Cina. « Sono stufo, non mi importa quanto mi costerà – si legge in una mail inviata ai suoi legali all’inizio della vicenda –: voglio giustizia » . E giustizia ha ottenuto.