Powell scalda il dollaro e l’euro cade fino a 1,18
L’annuncio di una « stretta » anticipata fa volare il biglietto verde e cadere le materie prime Ma il mercato non prevede ulteriori forti salite
Tra la reazione a caldo e quella a freddo non c’è stata differenza. Tanto mercoledì sera - subito dopo l’apertura della Fed a una stretta monetaria anticipata, con due tagli schedulati entro il 2023 - quanto ieri gli investitori hanno continuato a comprare dollari. Tanto che il dollar index - che sintetizza l’andamento del biglietto verde contro un basket di valute internazionali - è balzato in un due sedute dell’ 1,65% passando da 90,5 a 92 punti. Davvero notevole come scatto considerato che il mercato delle valute è il più liquido al mondo, in particolar il cross euro/ dollaro che è passato nel frattempo da 1,21 a 1,189 dollari. Più di due figure di oscillazione in poche ore non si vedevano dai tempi del 19 marzo 2020, in piena emergenza pandemica.
La causa scatenante che a questo giro ha portato il dollaro a rivestire i panni di primo della classe tra le valute fiat non è però un improvviso clima di risk- off, quanto l’adeguamento alle nuove linee guida della Fed. Prima di mercoledì la forward guidance indicava tassi fermi almeno fino al 2023. Lo scatto dell’inflazione - che a maggio è balzata al 5% e dovrebbe attestarsi per tutto il 2021 al 3,4% anziché al 2,4% precedente stimato - ha però rimescolato le carte spingendo il governatore Jerome Powell a vestire i panni del “falco”, annunciando che entro il 2023 ci saranno due rialzi. Questo può significare, in teoria, che anche a gennaio del 2022 la Fed potrebbe portare in su il costo del denaro. Ciò vorrebbe dire che prima la stessa dovrebbe già avere avviato il tapering, la riduzione degli stimoli pari ad oggi a 120 miliardi al mese.
Gli investitori, si sa, amano portarsi in avanti. E per ora lo hanno fatto soprattutto attraverso la porta del dollaro. Quanto a Wall Street la reazione per ora è stata contenuta ( ieri Dow Jones ha perso circa mezzo punto mentre il Nasdaq, sulla carta tra i più penalizzati dal rialzo dei tassi, è salito di circa l’ 1% aggiornando il massimo storico). Anche i rendimenti dei Treasuries a 10 anni non hanno subito scosse passando dall’ 1,49% all’ 1,51%.
Come detto, i fari sono stati puntati sul dollaro il cui balzo ha innescato vendite sulle materie prime che, essendo quotate in dollari, soffrono quando la valuta si rafforza perché per gli investitori stranieri difatti diventano immediatamente più care. Le ultime 24 ore sono state complicate per l’oro che ha ceduto il 4% perdendo 100 dollari ( da 1.870 a 1.760). Forti ribassi anche per argento e platino (- 6%) con il palladio maglia nera (- 10%). Meno accentuato il calo di rame (- 3%) e petrolio (- 2%).
La domanda che tutti si pongono è: quanto durerà la forza relativa del dollaro? Non bisogna dimenticare che nel 2015 tra Eurozona e Stati Uniti si registrò la punta più alta del decoupling, la divergenza di politiche monetarie, con la Bce che annunciava il suo primo quantitative easing e la Fed riprendeva a rialzare i tassi. Non a caso il dollaro si rafforzò a tal punto che si tornò a parlare di parità con l’euro quando nel novembre il cambio sfiorò 1,05. Sarà così anche questa volta?
« La Fed ha sorpreso gli investitori perché considera raggiunto il target di inflazione e non lontano quello dell’occupazione. Il che vuol dire che la prima stretta secondo il mercato potrebbe davvero arrivare nel 2022 - spiega Marco Piersimoni, senior investment manager di Pictet asset management -. Tuttavia se osserviamo gli indicatori sulla purchasing power parity ( parità di potere d’acquisto tra Paesi che utilizzano valute diverse, ndr) l’euro in media è ancora sottovalutato e dovrebbe orbitare tra 1,25 e 1,3 dollari » . Molto ovviamente dipenderà dalla Bce e dal meeting di settembre. In che modo risponderà alla Fed? Al momento pare non avere fretta. Proprio ieri, Philip Lane, membro del comitato esecutivo della Bce: « Gli Usa e la zona euro sono in situazioni diverse, ci vorrà molto tempo prima che il mercato del lavoro si riprenda e non è necessario ed è prematuro parlare della fine del Pepp ( piano di acquisti straordinari, ndr) » .