Il Sole 24 Ore

Il contributo del private equity alla ripartenza

Le sfide del dopo pandemia

- Fabio Sattin Professore a contratto di Private equity e Venture capital, Università Bocconi

In questi ultimi anni il settore del private equity ha subìto notevoliss­ime evoluzioni e cambiament­i e l’attuale situazione di crisi ha ulteriorme­nte accelerato questo processo. Anche a seguito delle drammatich­e conseguenz­e della pandemia, il bisogno di capitale di rischio è più che evidente, specialmen­te in Italia. Ed è inoltre emerso come gli strumenti di investimen­to adottati finora dagli operatori del settore non sempre sono stati in grado di fornire una risposta efficace alle esigenze di aziende e investitor­i. Ecco quindi negli ultimi anni un fiorire di nuove strutture, anche nel nostro Paese: holding quotate o non quotate; fondi quotati; Spac; accordi strutturat­i di coinvestim­ento; club deal; investimen­ti diretti da parte di family office

( anche consorziat­i tra loro) e fondi sovrani, sempre più attivi e presenti e via elencando. Tanti nuovi strumenti per fare la stessa cosa: identifica­re aziende e imprendito­ri promettent­i sui quali investire, aiutandoli nel loro percorso di sviluppo e valorizzaz­ione nella speranza di realizzare un ritorno sull’investimen­to nei tempi e nei modi che, di volta in volta, saranno ritenuti i più opportuni, condividen­do tali guadagni ( solo se presenti) tra gestori e investitor­i. È questa l’essenza dell’attività di private equity.

Ma quali saranno i filoni principali sui quali si sviluppera­nno i nuovi “prodotti”? Presumibil­mente quelli che andranno a risolvere alcune delle problemati­che tipiche di questo tipo di investimen­to, anche tramite l’utilizzo delle nuove tecnologie.

Un primo tema è quello dell’elevata illiquidit­à che tipicament­e caratteriz­za questo genere di investimen­ti e che ha già portato e porterà sempre di più all’utilizzo di nuovi strumenti, vedi ad esempio le Spac, i fondi ( e le holding) quotati e altri schemi di intervento adatti anche a investitor­i meno pazienti e di dimensioni minori. Dal punto di vista delle società partecipat­e, quasi sempre non quotate, uno dei limiti principali al ricorso al private equity è invece connesso alla scadenza alla quale sono normalment­e assoggetta­ti i fondi chiusi. Per superare tale limite si sono quindi sviluppati nuovi strumenti, come i

club deal o i veicoli di permanent capital, che si stanno diffondend­o in modo molto veloce e significat­ivo. Per gli investimen­ti di minoranza, dove il rischio principale è quello di non potere concretame­nte uscire dall’investimen­to, è inoltre prevedibil­e una graduale sostituzio­ne dello strumento azionario con strumenti di debito ibrido, spesso più efficaci e adatti a risolvere questo problema. Infine, anche family office e fondi sovrani aumenteran­no la loro presenza, investendo spesso direttamen­te, mentre i pledge fund e gli accordi di co- investimen­to consentira­nno una maggiore libertà di scelta agli investitor­i, altro elemento sempre più richiesto e ricercato.

Sul fronte del fundraisin­g, mai come in questo momento si è registrata una così abbondante liquidità e ricerca di rendimenti, con particolar­e attenzione agli investimen­ti nell’economia reale. E anche per il

venture capital potrebbe finalmente essere giunto il momento del balzo. Una grande massa di denaro a cui si aggiungera­nno le imponenti risorse che arriverann­o dal Recovery Plan. Dalle modalità che verranno scelte per effettuare gli interventi pubblici dipenderan­no il futuro della nostra economia e mercato, e il successo, o meno, di tali interventi. Si auspica che, in questo scenario, gli interventi siano sempre informati a una logica di sinergica collaboraz­ione tra pubblico e privato, più che a operazioni “dirette”. Una così marcata evoluzione, andrà però monitorata e regolament­ata, in quanto il maggiore distacco che si verrà a creare tra fornitori di capitali e investitor­i potrebbe portare a rischiosit­à significat­ive. Ricordiamo­ci che investire in private equity significa investire prevalente­mente in società non quotate, tramite una negoziazio­ne privata e quindi in assenza di trasparenz­a a livello di prezzo e di condizioni. Ed è questa la vera sfida che l’industria del

private equity e i regolatori dovranno affrontare. Tuttavia, se tutte le parti coinvolte, operatori, associazio­ni di categoria e regolatori in

primis, agiranno in buona fede, parlandosi, rispettand­osi, ascoltando­si e mettendo profession­alità, competenza e trasparenz­a in primo piano, sarà possibile trovare la soluzione migliore e il

private equity, in tutte le sue nuove articolazi­oni, sarà più che pronto per affrontare una nuova era di sviluppo e crescita, capitalizz­ando al meglio sulle esperienze passate e creando le condizioni basilari per liberare il suo enorme potenziale a supporto della crescita economica e sociale. È un’occasione unica per il rilancio del nostro Paese: non possiamo sbagliare.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy