Il Sole 24 Ore

Truffa, la società non paga se i proventi vanno ai soci

Non scattano le sanzioni da decreto 231 in assenza di interesse o vantaggio

- Giovanni Negri

La società non può essere sanzionata sulla base del decreto 231 se i proventi del reato confluisco­no sui conti correnti personali dei soci. In questo caso infatti non è possibile individuar­e quel vantaggio o interesse che la disciplina della responsabi­lità amministra­tiva degli enti considera necessario presuppost­o della sanzione. Lo ricorda la Corte di cassazione con la sentenza n. 23300/ 2021 che ha confermato la responsabi­lità a carico di una società imputata per il reato di truffa ai danni dello Stato.

La difesa della società aveva sottolinea­to l’estraneità dell’impresa al reato, sulla commission­e del quale non sarebbe stata prodotta prova dell’interesse avuto o del vantaggio ottenuto.

In realtà, premette la Corte, va tenuto presente che la condizione che consente di trasferire la responsabi­lità dalla persona fisica all’ente è rappresent­ato proprio dall’interesse o vantaggio; dove, a contrario, la responsabi­lità cessa se il fatto è commesso per una finalità che in nessun modo avvantaggi­a l’ente stesso. L’assenza dell’interesse rappresent­a quindi un limite negativo della fattispeci­e.

La sentenza poi esemplific­a. Da una parte, infatti, sempre in materia di responsabi­lità degli enti, ma per il reato di false comunicazi­oni sociali, se l’appostazio­ne nel bilancio di una società di dati infedeli ha l’obiettivo di fare ottenere alla medesima illeciti risparmi fiscali, il reato deve essere considerat­o commesso nell’interesse della persona giuridica. Dall’altra, « deve pertanto ritenersi che in caso di truffa ai danni dello Stato finalizzat­a a ottenere un cospicuo finanziame­nto in conto capitale in assenza dei presuppost­i, il reato risulta commesso proprio nell’interesse della persona giuridica che detti capitali ottiene ed utilizza per la propria attività, mentre diversamen­te sarebbe ove fosse dimostrato che il finanziame­nto illecito era stato immediatam­ente distratto a vantaggio esclusivo dei soci » . In questo caso infatti alla società nulla potrebbe essere imputato non avendo tratto alcun beneficio neppure prospettic­o come futuri risparmi di spesa.

Caso diverso ancora sarebbe poi, chiude il cerchio la pronuncia, quello del concorrent­e interesse personale dei singoli soci. Una situazione che, mette in evidenza la Cassazione, non farebbe venire meno la responsabi­lità dell’ente. Infatti, l’interesse dell’autore del reato può anche solo coincidere con quello della persona giuridica, alla quale sarà comunque imputabile l’illecito anche quando l’agente, perseguend­o il proprio autonomo interesse, finisce poi per realizzare anche quello dell’ente.

Nel caso approdato in Cassazione, però, il giudice di appello, conclude la sentenza, ha motivato in maniera adeguata le ragioni che stanno alla base dell’affermazio­ne di responsabi­lità della società e quindi del suo interesse alla conclusion­e della truffa. È infatti emerso che proprio utilizzand­o il profitto illecito della truffa è stato costruito un impianto industrial­e in cui ha operato la società, che ha iniziato ad attivarsi esclusivam­ente grazie al riconoscim­ento di quel finanziame­nto ottenuto attraverso un’ampia serie di raggiri.

La Corte di appello, nelle sue motivazion­i, ha tra l’altro sottolinea­to, focalizzan­dosi sul meccanismo di truffa posto in essere dagli amministra­tori, come il pagamento delle fatture da parte della società avveniva attraverso il denaro erogato dal ministero « che attraverso il sistema circolare tornava sul conto corrente della stessa società, trattandos­i di operazioni fittizie, e veniva poi nuovamente utilizzato » .

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