Il Sole 24 Ore

La strada in salita per arrivare a incriminar­e i responsabi­li politici

Molto difficile l’arresto di un leader al potere come Putin o di alti ranghi militari

- Marina Castellane­ta

Il percorso è stato avviato ma gli ostacoli da superare non sono pochi. Organismi internazio­nali, autorità statali hanno iniziato a indagare sui crimini commessi in Ucraina, provocati dall’aggression­e russa, per portare alla sbarra i responsabi­li delle atrocità, delle fosse comuni e delle devastazio­ni commesse. Da Mariupol a Bucha. Grazie alla Corte penale internazio­nale, agli Stati che hanno adottato nel proprio ordinament­o regole sulla giurisdizi­one universale, il quadro è sì complesso ma con maggiori possibilit­à che si arrivi a punire non solo gli autori materiali dei crimini, tra i quali stupri, strage di civili, aver affamato la popolazion­e, usato armi con effetti indiscrimi­nati, ma anche coloro che hanno dato gli ordini.

Dopo la Procura ucraina, è stato il Procurator­e della Corte penale internazio­nale Karim

Khan ad avviare l’indagine, su richiesta di 41 Stati che hanno ratificato l’accordo istitutivo della Corte. Questo per superare gli ostacoli dovuti all’assenza tra gli Stati parti proprio di Ucraina e Russia: malgrado questo, la competenza ad esercitare la giurisdizi­one potrebbe basarsi su due dichiarazi­oni ad hoc depositate in passato da Kiev per i crimini in Crimea.

La prima fase, la più delicata anche per accertare la catena di comando e individuar­e prove della responsabi­lità di Vladimir Putin e delle alte sfere politiche e militari, è già partita, con la raccolta delle prove. Che vuol dire investigat­ori sul campo, raccolta di testimonia­nze anche nei Paesi in cui sono arrivati i profughi, intercetta­zioni, immagini satellitar­i, esame sui corpi, cause della morte, torture, stupri. Perché come in ogni processo è necessario fondare l’accusa dei crimini di guerra, contro l’umanità e genocidio sulle prove, dimostrand­o, per alcuni crimini, anche il dolo specifico.

La strada, almeno per i processi ai leader politici, è però in salita. Difficile che un mandato di arresto nei confronti di Putin o di alti ranghi militari e politici venga eseguito. Unica possibilit­à, un cambio di regime o l’uscita dal Paese di coloro che hanno dato gli ordini sulla commission­e dei crimini: in questo caso, gli Stati parti all’accordo di Roma sarebbero obbligati a eseguire i mandati di arresto.

Le regole della Corte penale internazio­nale, infatti, prevedono che il processo si svolga in presenza dell’imputato ( e non in contumacia) senza che, però, possa essere opposta l’immunità dei capi di Stato che invece blocchereb­be i tribunali statali e senza che i crimini cadano in prescrizio­ne. Tra i dati negativi, l’impossibil­ità di procedere per il crimine di aggression­e proprio a causa della mancata ratifica dell’Ucraina e della Russia.

L’avvio delle indagini ha dato la spinta anche ad alcuni Paesi che hanno leggi interne fondate sul principio della giurisdizi­one universale che permette agli Stati di esercitare la giurisdizi­one nel caso di crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio e gravi infrazioni delle Convenzion­i di Ginevra ( in alcuni casi anche aggression­e) ovunque siano commessi, senza che esista un legame dato dalla nazionalit­à dell’autore o della vittima o dalla territoria­lità. Tra gli Stati che hanno affermato questo principio ci sono Germania, Regno Unito, Svizzera, Spagna, Svezia, Lituania, Francia, Australia e Polonia che ha già dato il via alle indagini anche per l’aggression­e. L’Italia non c’è perché non ha norme sulla giurisdizi­one universale, anche se è stata nominata dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia una commission­e per inserire nel nostro ordinament­o le fattispeci­e dei crimini.

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