Il Sole 24 Ore

« Le relazioni valgono un capitale, ma non è solo questione di quantità »

Comportame­nti digitali. « Siamo connessi come mai in passato, ma il valore sociale dipende dalla qualità più che dalla quantità » : per la sociologa Marissa King le reti sono efficaci a seconda delle sfide. L’importante è mettersi in ascolto

- Giampaolo Colletti

« Non possiamo vivere solo per noi stessi. Le nostre vite sono collegate da mille fili invisibili. E lungo queste fibre sensibili corrono le nostre azioni come cause e ritornano a noi come risultati » . Così affermava a metà Ottocento Herman Melville, autore di quel Moby Dick che ha segnato generazion­i. Solo un secolo e mezzo più tardi ad abbattere i gradi di separazion­e sarebbero arrivate le notifiche delle cerchie amicali nel social network di casa Zuckerberg, che ha ridisegnat­o le relazioni per un mondo più piccolo e incollato agli schermi miniaturiz­zati degli smartphone. « Quella di Melville è più che un’ispirazion­e ed è alla base dell’idea di rete, che per ogni individuo è una mappa che racconta come è stata la propria vita fino a quel punto e dove sta andando. D’altronde oggi le relazioni sociali rappresent­ano una forma di capitale, come quello economico e umano. E questo capitale sociale richiede investimen­ti. Per esempio è più difficile chiedere un favore a qualcuno se non hai una relazione già esistente. Ma ciò che distingue il capitale sociale è che il valore si moltiplica in modo esponenzia­le. D’altronde i lavori con le proprie reti si trovano più velocement­e, sono pagati meglio e risultano ancora più soddisface­nti » , afferma Marissa King, sociologa e docente di comportame­nto organizzat­ivo alla Yale School of Management, autrice del best seller tradotto in Italia come “Chimica sociale”.

King è analista delle reti e studia il modo in cui evolvono quelle sociali delle persone, come sono fatte e cosa significan­o rispetto alla capacità di avere successo. « Le nostre reti dipendono dal fatto che il nostro ufficio sia più o meno vicino all’ascensore, che la nostra abitazione sia in fondo a una strada chiusa, che frequentia­mo la chiesa o andiamo in palestra. Tutte le scelte che compiamo hanno un forte impatto sulla nostra rete » , precisa King. La struttura dei contatti aiuta a spiegare tutto: da quanto si guadagna alla qualità delle proprie idee che si riescono a realizzare. « Sappiamo da decenni di ricerca che le nostre reti possono essere declinate secondo i profili di espansioni­sti, intermedia­tori e aggregator­i. Ogni modello ha enormi implicazio­ni per una varietà di risultati personali e profession­ali. Gli espansioni­sti hanno reti estese e ne sono al centro. Gli intermedia­ri aggregano parti non connesse tra loro. Gli aggregator­i creano reti dense in cui gli amici diventano amici tra loro. Ma attenzione: la dimensioni della rete è fuorviante. La qualità e non la quantità delle connession­i è un predittore del proprio funzioname­nto cognitivo e della resilienza lavorativa » . Eccolo allora il capitale sociale descritto dal sociologo James Coleman, che rende possibile il raggiungim­ento di determinat­i fini.

Ma non è scontato che le reti mediate dal digitale siano sempre efficaci perché occorrono investimen­ti economici, massima allocazion­e di tempo e attenzione, necessari compromess­i. Lo ha argomentat­o Robin Dunbar, antropolog­o britannico: la quantità di capitale sociale che si ha in dote è piuttosto fissa, ma implica un investimen­to di tempo. « Se incrementi connession­i con più persone, finisci per distribuir­e la tua quantità fissa di capitale sociale in modo più sottile e meno controllab­ile » , ha scritto Dunbar. King evidenzia un altro aspetto rilevante: ancora oggi la maggior parte dei lavori si trovano attraverso conoscenti, non tramite amici stretti o familiari. Lo ha teorizzato già nel 1973 il sociologo Mark Granovette­r esaminando i profession­isti di Newton, 90mila anime nel Massachuse­tts: Granovette­r scoprì che più della metà delle persone avevano trovato lavoro con il proprio network esteso e nei profili più alti si arrivava addirittur­a a tre persone su quattro. Non si trattava però di amici, bensì di conoscenti. « Lo studio sui legami deboli è stato il primo a sfidare le nozioni convenzion­ali sul funzioname­nto dei social e i suoi risultati hanno resistito alla prova del tempo. Oggi sappiamo che le connession­i sociali hanno un effetto su salute e felicità: la solitudine può aumentare di un quarto le possibilit­à di morte prematura. E c’è un paradosso: questo profondo senso di isolamento arriva in un momento in cui siamo più connessi come mai in passato » , conclude King.

Così reti aperte e legami deboli diventano alleati per la carriera, ma per supporto emotivo una rete chiusa può essere più funzionale. Con la pandemia i nostri legami deboli si sono ridotti del 16%. Così mentre le nostre reti sono in continua evoluzione, ci sono alcune costanti: le persone di cui abbiamo bisogno nei momenti difficili e le ricompense emotive che possono arrivare. Allora non esiste una rete migliore o peggiore: momenti differenti richiedono reti differenti. Proprio come le esigenze emotive, sociali e lavorative cambiano nel tempo. Le reti evolvono di continuo: per le aziende la chiave è intercetta­rle. Mettersi in ascolto: lo disse tempo addietro anche Mark Zuckerberg. In fondo conviene ( ancora) credergli.

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Le nostre reti sono in continua evoluzione ma ci sono alcune costanti: le persone di cui abbiamo bisogno nei momenti difficili e le ricompense emotive che possono arrivare
Connession­i aperte e legami deboli. Le nostre reti sono in continua evoluzione ma ci sono alcune costanti: le persone di cui abbiamo bisogno nei momenti difficili e le ricompense emotive che possono arrivare
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di comportame­nto organizzat­ivo a Yale, autrice di “Chimica sociale”, Bocconi
editore, 30 euro
MARISSA KING Sociologa, docente di comportame­nto organizzat­ivo a Yale, autrice di “Chimica sociale”, Bocconi editore, 30 euro

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