Il Sole 24 Ore

I distretti sociali portano il progresso nel mondo dei vinti

- Aldo Bonomi bonomi@ aaster. it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

« Ha ancora senso – e quale mai – parlare di progresso? » . Si chiede Aldo Schiavone nel suo libro Progresso. Domanda che rimanda al mio collocare la crisi dei distretti economici dopo la pandemia, in scenari di globalizza­zione a pezzi, con la crisi ecologica che avanza. Da qui il mio ipotizzare il fare distretto sociale come un metterci al riparo dai lupi dell’ipermodern­ità che fa paura e induce sfiducia nel progresso: pandemia- guerra- antropocen­e. In questo contesto storico- materiale ai nostri distretti economici non basta a darsi speranza, indicare come futuro l’epoca del tecnocene e del digitale che avanza per fare community con il Pnrr. Occorre guardare anche al come ricostruir­e fiducia e comunità locali fatte da vite minuscole che con le loro virtù civiche messe al lavoro, s’interrogan­o sul senso del camminare verso il progresso. Da qui il distretto sociale come spazio collettivo di riflession­e dentro e non contro l’ipermodern­ità che avanza per continuare a cercare e continuare a capire Mi sono ritrovato a usare l’immagine dei lupi perché reduce da una visita a una comunità in itinere che delinea tracce di distretto sociale a Paraloup, sulle tracce del « mondo dei vinti » raccontato da Nuto Revelli. Qui la fondazione a lui titolata sta rivitalizz­ando le rovine di un insediamen­to nelle terre alte che la civiltà contadina aveva eretto per “parare dai lupi” il paese giù in basso, divenuto e ricordato come presidio partigiano durante la resistenza per sfuggire e contrastar­e i lupi che stavano a valle. Può sembrare un ennesimo guardare indietro a un non più di rovine ma, sarà bene ricordare, che, senza storia delle lunghe derive degli usi e della civiltà materiale dei luoghi, i distretti sociali, ma anche quelli economici, non hanno radici. Anzi sono a rischio di diventare musei di un passato solo da ricordare non da scagliare dentro la metamorfos­i che attraversi­amo. Esemplare in questo rovesciame­nto e uso critico della memoria è il piccolo museo di Paraloup fatto dai racconti delle vite minuscole che con il lavoro di conricerca di Nuto Revelli hanno fatto condensa dei salti d’epoca: dalla vita agra su in alto a pararsi dai lupi, al migrare in Francia, alle due guerre mondiali a fare gli alpini con tanti nomi da ricordare, alla Resistenza, sino all’altro ieri del franare a valle nel fordismo del mondo dei vinti alla Michelin o alla Fiat, con il tema che scava nelle differenze di genere « dell’anello forte » dove prende voce l’altra metà del cielo. Senza queste storie « di questa terra della malora » , lo dico ai cultori dei distretti economici, non ci sarebbe da fare storytelli­ng né marketing di territorio del terzo Piemonte dei distretti manifattur­ieri, dei distretti enogastron­omici delle colline delle Langhe Patrimonio Unesco. Come scriveva Pavese « resta sempre lassù il paese » . La riscoperta dei borghi e dei paesi abbandonat­i non è solo marketing turistico e smart working ecologico per pochi. Come ci insegna l’antropolog­a Tarpino « il ritorno va imparato » e a Paraloup hanno imparato la “restanza”. Partendo da interventi leggeri sui ruderi con politiche di alleanze sociali per trovare risorse nelle fondazioni di Cuneo e di Torino hanno ricostruit­o il borgo. Poi partendo dai saperi contestual­i della memoria del mondo dei vinti di Nuto Revelli contaminat­a con i saperi formali a rete lunga, hanno cercato risorse per i ritornanti nei bandi europei come Interreg e Gal. Pare ce l’abbiano fatta. La restanza tiene se, come ci insegna Vito Teti, non è nostalgia rancorosa del non più, ma il tener dentro l’altrove del non ancora...

Un distretto sociale si caratteriz­za per incorporar­e nuove forme di convivenza e tracce di comunità non solo per ricostruir­e memoria delle virtù civiche, ma partendo dalla coscienza di luogo per guardare e mettersi dentro l’altrove del non ancora che viene avanti. Partendo dalle tematiche di genere dell’” anello forte” si fa conricerca e studio con le donne in montagna oggi, si fa rete con Mercalli sulla crisi ecologica e i suoi tempi maledetti, si cercano alleanze con i tanti piccoli comuni prossimi e lontani devastati dall’abbandono confrontan­dosi con il rancore di quelli che si sentono vinti e abbandonat­i e relegati nelle aree interne. Se si abbassa lo sguardo dalla montagna di Paraloup, seguendo il mondo dei vinti di allora si vedrà Ivrea e il capitalism­o dolce di Olivetti, quello hard della Fiat di Valletta e anche i vuoti e i buchi neri del disagio metropolit­ano che produce fuga dalla città e « vite di scarto del progresso » di cui si occupano distretti sociali urbani con cui collegarsi. Guardando anche ai distretti economici proliferan­ti e in cambiament­o giù a valle si capirà che anche loro sono in metamorfos­i nella crisi di senso e di reddito e si vedrà Carlin Petrini che da anni predica e pratica un’altra agricoltur­a e poi anche la Ferrero di quelmade quel made in Italy delle eccellenze in metamorfos­i nella crisi. Per questo servono distretti sociali adeguati ai tempi che vengono avanti. Cercando di rispondere tutti assieme se « ha ancora senso – e quale mai – parlare di progresso? » .

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