Sugli extraprofitti pesano i ricorsi in preparazione
L’una tantum replicata. I tecnici temono il rischio perché l’imponibile Iva non cambia solo per l’aumento dei prezzi e il confronto è fatto con l’inverno 2020- 21, frenato dalle restrizioni Covid
Più tasse sui profitti delle società dell’energia gonfiati dall’inflazione per sostenere 28 milioni di lavoratori e pensionati che la stessa inflazione mette in crisi. Sul piano politico, la scelta assunta dal governo con il nuovo decreto Aiuti mette in pratica un esempio di scuola di redistribuzione: che trasforma l’inflazione, tassa occulta sui poveri per eccellenza, in una fonte di aiuto alle famiglie in difficoltà, a carico delle società arricchite da un caro prezzi anche speculativo.
C’è però un piano pratico che secondo molti osservatori rischia di travolgere l’obiettivo della misura, che è quello di far partecipare la minoranza beneficiata dagli indubitabili frutti dell’inflazione ( « profitti incredibili » , è tornato a definirli ieri il premier Draghi al Parlamento europeo) allo sforzo comune per aiutare la maggioranza schiacciata dal balzo dei prezzi. E l’incognita spiega le divisioni che hanno animato i piani alti del governo alla vigilia. Il pendolo verso la replica con il 15% extra aggiunto all’una tantum iniziale del 10% è stato mosso a Palazzo Chigi direttamente dal premier Draghi, anche in virtù di un verosimile calcolo costi- benefici con due alternative ancora più complicate: limitarsi a un mini- taglio sul cuneo fiscale, che avrebbe bruciato un miliardo per una misura tale da scontentare lavoratori e imprese, oppure affidare il tutto a uno scostamento oggi giudicato impraticabile mentre il rendimento del BTp decennale è tornato ai livelli di un complicatissimo 2019.
La freddezza del Mef non si spiega con un disaccordo su questa filosofia, ma con un rischio pratico: quello dei ricorsi degli interessati, che già era concreto con la prima mossa da 4 miliardi e si alza decisamente con l’aumento del conto a 10 miliardi. Le indicazioni della Corte costituzionale ( sentenza 10/ 2015 sulla Robin Hood Tax) hanno pesato nella creazione di un prelievo che si concentra sulla quota « extra » ed è limitato nel tempo. Ma resta sotto osservazione il principio dell’ « indefettibile raccordo con la capacità contributiva » enunciato dalla stessa sentenza come presupposto per la legittimità della richiesta.
Il problema nasce dal meccanismo individuato per misurare i profitti straordinari a cui chiedere il contributo. Meccanismo inevitabilmente “presuntivo”, perché i profitti veri si misurano con i bilanci che però arrivano fra un anno. Mentre i soldi servono oggi. Per chiamare le imprese alla cassa entro il 30 giugno ci si è indirizzati sull’imponibile Iva, e sulle sue variazioni fra quest’inverno e lo scorso. Nel decreto di marzo il periodo era stato fissato nell’ottobre- marzo, nel nuovo provvedimento potrebbe essere esteso ad aprile, il che non cambierebbe la sostanza ma imporrebbe un doppio calcolo.
I principali punti critici sono due, resi delicati anche dall’ampiezza della platea coinvolta che abbraccia produttori, importatori, distributori e venditori di energia elettrica, gas e prodotti petroliferi. Il primo è legato al fatto che l’imponibile Iva non cresce solo per l’aumento dei prezzi, ma può variare anche perché per esempio l’impresa è riuscita ad allargare l’elenco dei clienti o ha esteso il proprio raggio di attività.
Il secondo è l’orizzonte temporale del calcolo, che poggia sul confronto con un periodo, quello fra l’ottobre 2020 e il marzo ( o aprile) 2021, in cui l’attività era stata frenata dalle restrizioni a singhiozzo che cadenzavano la vita nell’Italia delle regioni a colori; e che hanno prodotto sette decreti per garantire ristori ( governo Conte- 2) o sostegni ( governo Draghi) agli operatori economici in difficoltà. Si spiega anche così una base imponibile da 40 miliardi, doppia rispetto alle stime iniziali che misuravano in una ventina di miliardi i profitti prodotti dall’inflazione dell’energia.
Il contributo è temporaneo e limitato ai margini straordinari ma resta il nodo della « capacità contributiva »