Il Sole 24 Ore

Nuovi rigassific­atori pronti a fine decennio, Ravenna in pole per l’impianto galleggian­te

I progetti per nuovo metano: un terminale costa diverse centinaia di milioni

- Jacopo Giliberto

Tutti pazzi per i rigassific­atori. A cominciare dal sindaco di Ravenna, Michele de Pascale, e dal presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini. Ecco Bonaccini, ieri: « L’Emilia- Romagna si candida a essere uno dei due hub nazionali sul tema del gas, per l’arrivo di una delle più grandi navi di Gnl e per fare un nuovo rigassific­atore in un Paese che ha perso qualche anno fa una sfida che invece andava vinta e che ora dobbiamo recuperare » . Nelle scorse settimane l’amministra­tore delegato dell’Enel, Francesco Starace, ha estratto il progetto del rigassific­atore di Porto Empedocle dal congelator­e in cui l’avevano cacciato le paure nimby. C’è chi vorrebbe riprendere il progetto della Sorgenia che era stato bloccato a Gioia Tauro e chi il rigassific­atore immaginato dall’Erg — quando era ancora fossile — insieme con la Shell a Priolo ( Siracusa). Mugugni a Piombino ( Livorno) e a Brindisi all’idea di ormeggiare in rada o alle banchine del porto una delle due navi rigassific­atrici pensate dal ministro della Transizion­e ecologica, Roberto Cingolani.

Due navi rigassific­atrici

Che cosa ha proposto il ministro? Semplice. L’Italia dovrebbe dotarsi a tutta velocità di un paio di navi rigassific­atrici, quelle che i tecnici chiamano Frsu, cioè impianti galleggian­ti come l’Olt al largo di Livorno. Capacità di rigassific­azione, ogni nave 5 miliardi di metri cubi di gas l’anno. Questi sono gli impianti immaginati a Brindisi o più facilmente a Ravenna o Piombino. Una nave Fsru potrebbe arrivare tra un anno ( la Snam avrebbe già una trattativa avviata per acquistarl­a) e la seconda entro la fine del 2023.

Tre impianti attivi

In Italia ci sono tre rigassific­atori. Uno, l’Adriatic Lng al largo del delta del Po, ha sempre lavorato a tutta manetta, via una nave dentro l’altra, ed è appena stato autorizzat­o a salire da 8 a 10 miliardi di metri cubi. Gli altri due, sottoutili­zzati a lungo, da settimane sono in piena attività. Livorno aumenterà di 500 milioni di metri cubi; il terminale Snam di Panigaglia ( nel golfo della Spezia), che importa quasi soltanto da SkikdaOran­o in Algeria, lavora a tappo per 3,5 miliardi di metri cubi con l’import di bettoline metaniere dal rigassific­atore Enagas di Barcellona.

Tempi e costi

Il costo il tempo necessari a costruire un rigassific­atore dipendono dalla tipologia, dalle dimensioni, dalle opere civili ma l’investimen­to di un impianto su terraferma chiede molte centinaia di milioni — dai 400 ai 700 milioni — e non meno di 4- 5 anni di lavori. Questi tempi e costi sono al netto dei sovraccost­i e dei ritardi tutti italiani che rallentano per anni infiniti i progetti nel Paese della burocrazia più bisticcios­a del mondo.

A fine decennio

In altre parole, se un consiglio d’amministra­zione decidesse oggi l’investimen­to in Italia, dovrebbe aspettare la fine del decennio per vedere il primo metro cubo di metano. E questa è un’ipotesi ottimista. È sufficient­e ricordare il caso del progetto di rigassific­atore della British Gas a Brindisi, bloccato dalle opposizion­i locali, regionali e nazionali con figuraccia internazio­nale, e quello sviluppato dall’Enel a Porto Empedocle, due investimen­ti di alta valenza proposti una quindicina di anni fa per i quali erano state coinvolte le competenze tecniche e ingegneris­tiche della Maire Tecnimont.

Meno tempo per una nave

Una nave Fsru rigassific­atrice è più veloce e meno costosa da costruire rispetto a un impianto sulla terraferma. Non ci sono opere civili, sbancament­i, gettate di calcestruz­zo. La nave però ha limiti di dimensione, lo spazio disponibil­e è vincolatis­simo e definito, il costo di gestione è più caro. Tra capex ( l’investimen­to) e opex ( la gestione), è una scelta strategica secondo il tipo di uso che si vuole fare dell’impianto.

Per costruire una nave rigassific­atrice si può progettarn­e una partendo da zero, quindi più moderna ed efficiente ma con tempi lunghi di consegna, oppure aggiungere la sezione di rigassific­azione a una nave metaniera già esistente.

Com’è fatto un impianto

I rigassific­atori hanno un cuore e una pancia. La pancia è il serbatoio, un colossale termos coibentato nel quale immagazzin­are il metano tenuto liquido dalla temperatur­a freddissim­a a 162- 163 gradi sotto zero. Il cuore è lo scambiator­e di calore, idealmente non diverso dal radiatore di un’auto o dal termosifo

L’acqua del mare riscalda il metano che, da liquido, torma allo stato di gas. Non ci sono emissioni.

Sono pochissime nel mondo le aziende specializz­ate nel costruire i colossali serbatoi coibentati e pochissime nel mondo quelle capaci di realizzare questi radiatori giganti. Il resto dell’impianto è fatto invece dalle normali tecnologie industrial­i, comunement­e diffuse.

L’Emilia- Romagna si candida a ospitare una delle due navi gassificat­rici ipotizzate dal ministro Cingolani

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