Nuovi rigassificatori pronti a fine decennio, Ravenna in pole per l’impianto galleggiante
I progetti per nuovo metano: un terminale costa diverse centinaia di milioni
Tutti pazzi per i rigassificatori. A cominciare dal sindaco di Ravenna, Michele de Pascale, e dal presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini. Ecco Bonaccini, ieri: « L’Emilia- Romagna si candida a essere uno dei due hub nazionali sul tema del gas, per l’arrivo di una delle più grandi navi di Gnl e per fare un nuovo rigassificatore in un Paese che ha perso qualche anno fa una sfida che invece andava vinta e che ora dobbiamo recuperare » . Nelle scorse settimane l’amministratore delegato dell’Enel, Francesco Starace, ha estratto il progetto del rigassificatore di Porto Empedocle dal congelatore in cui l’avevano cacciato le paure nimby. C’è chi vorrebbe riprendere il progetto della Sorgenia che era stato bloccato a Gioia Tauro e chi il rigassificatore immaginato dall’Erg — quando era ancora fossile — insieme con la Shell a Priolo ( Siracusa). Mugugni a Piombino ( Livorno) e a Brindisi all’idea di ormeggiare in rada o alle banchine del porto una delle due navi rigassificatrici pensate dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani.
Due navi rigassificatrici
Che cosa ha proposto il ministro? Semplice. L’Italia dovrebbe dotarsi a tutta velocità di un paio di navi rigassificatrici, quelle che i tecnici chiamano Frsu, cioè impianti galleggianti come l’Olt al largo di Livorno. Capacità di rigassificazione, ogni nave 5 miliardi di metri cubi di gas l’anno. Questi sono gli impianti immaginati a Brindisi o più facilmente a Ravenna o Piombino. Una nave Fsru potrebbe arrivare tra un anno ( la Snam avrebbe già una trattativa avviata per acquistarla) e la seconda entro la fine del 2023.
Tre impianti attivi
In Italia ci sono tre rigassificatori. Uno, l’Adriatic Lng al largo del delta del Po, ha sempre lavorato a tutta manetta, via una nave dentro l’altra, ed è appena stato autorizzato a salire da 8 a 10 miliardi di metri cubi. Gli altri due, sottoutilizzati a lungo, da settimane sono in piena attività. Livorno aumenterà di 500 milioni di metri cubi; il terminale Snam di Panigaglia ( nel golfo della Spezia), che importa quasi soltanto da SkikdaOrano in Algeria, lavora a tappo per 3,5 miliardi di metri cubi con l’import di bettoline metaniere dal rigassificatore Enagas di Barcellona.
Tempi e costi
Il costo il tempo necessari a costruire un rigassificatore dipendono dalla tipologia, dalle dimensioni, dalle opere civili ma l’investimento di un impianto su terraferma chiede molte centinaia di milioni — dai 400 ai 700 milioni — e non meno di 4- 5 anni di lavori. Questi tempi e costi sono al netto dei sovraccosti e dei ritardi tutti italiani che rallentano per anni infiniti i progetti nel Paese della burocrazia più bisticciosa del mondo.
A fine decennio
In altre parole, se un consiglio d’amministrazione decidesse oggi l’investimento in Italia, dovrebbe aspettare la fine del decennio per vedere il primo metro cubo di metano. E questa è un’ipotesi ottimista. È sufficiente ricordare il caso del progetto di rigassificatore della British Gas a Brindisi, bloccato dalle opposizioni locali, regionali e nazionali con figuraccia internazionale, e quello sviluppato dall’Enel a Porto Empedocle, due investimenti di alta valenza proposti una quindicina di anni fa per i quali erano state coinvolte le competenze tecniche e ingegneristiche della Maire Tecnimont.
Meno tempo per una nave
Una nave Fsru rigassificatrice è più veloce e meno costosa da costruire rispetto a un impianto sulla terraferma. Non ci sono opere civili, sbancamenti, gettate di calcestruzzo. La nave però ha limiti di dimensione, lo spazio disponibile è vincolatissimo e definito, il costo di gestione è più caro. Tra capex ( l’investimento) e opex ( la gestione), è una scelta strategica secondo il tipo di uso che si vuole fare dell’impianto.
Per costruire una nave rigassificatrice si può progettarne una partendo da zero, quindi più moderna ed efficiente ma con tempi lunghi di consegna, oppure aggiungere la sezione di rigassificazione a una nave metaniera già esistente.
Com’è fatto un impianto
I rigassificatori hanno un cuore e una pancia. La pancia è il serbatoio, un colossale termos coibentato nel quale immagazzinare il metano tenuto liquido dalla temperatura freddissima a 162- 163 gradi sotto zero. Il cuore è lo scambiatore di calore, idealmente non diverso dal radiatore di un’auto o dal termosifo
L’acqua del mare riscalda il metano che, da liquido, torma allo stato di gas. Non ci sono emissioni.
Sono pochissime nel mondo le aziende specializzate nel costruire i colossali serbatoi coibentati e pochissime nel mondo quelle capaci di realizzare questi radiatori giganti. Il resto dell’impianto è fatto invece dalle normali tecnologie industriali, comunemente diffuse.
L’Emilia- Romagna si candida a ospitare una delle due navi gassificatrici ipotizzate dal ministro Cingolani